Come funzionerà in Spagna la “grande coalizione di fatto”

Con il sì a Rajoy, si va verso la formazione di un governo dopo 300 giorni, ma i problemi per i socialisti iniziano soltanto ora

Il premier spagnolo Mariano Rajoy (foto laPresse)

di Eugenio Cau | 25 Ottobre 2016 ore 20:09

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Roma. Mariano Rajoy, ancora per qualche giorno primo ministro facente funzioni della Spagna e leader del Partito popolare (Pp), ha espresso parole morigerate per la decisione che da oltre trecento giorni dilania l’opposizione del Partito socialista (Psoe): “Molto ragionevole”, l’ha definita su Twitter, come se fosse la scelta più naturale del mondo, e non il dilemma che ha diviso il partito storico della sinistra spagnola, affossato il suo leader e generato una crisi d’identità senza precedenti. La scelta, ovviamente, è quella di consentire un governo di minoranza guidato da Rajoy tramite un’astensione in sede di voto di fiducia, e domenica è stata approvata, 139 a 96, dalla maggioranza dei rappresentanti del comitato federale del Partito socialista. Dopo uno stallo durato dieci mesi, la strada per formare un governo è in discesa, ma ripida: c’è tempo fino alla fine del mese per evitare nuove elezioni. Le consultazioni con re Felipe VI, il capo dello stato, sono iniziate ieri e si chiuderanno oggi. Il primo voto di fiducia per Rajoy sarà già mercoledì o giovedì. A questa prima votazione, per la quale è richiesta la maggioranza assoluta, Rajoy non passerà e il Psoe ha già annunciato che voterà no. Per legge, bisogna far passare almeno 48 ore tra la prima e la seconda votazione, nella quale per formare un governo basta che siano più i voti favorevoli di quelli contrari. Sarà qui che i socialisti si asterranno, rendendo i sì del Pp e dei centristi di Ciudadanos sufficienti per far nascere la legislatura negli ultimissimi giorni utili.

ARTICOLI CORRELATI  Cosa succede in Spagna dopo il crollo socialista  Il mal di Spagna  La baronessa del Psoe spagnolo alla prova Rajoy Politicamente, il sì deciso domenica riporta i socialisti indietro di dieci mesi. Quello stesso sì avrebbero potuto esprimerlo dopo le elezioni del dicembre 2015, risparmiando alla Spagna trecento giorni senza governo e a se stessi il crollo rovinoso del loro leader, Pedro Sánchez, le divisioni interne (in questi giorni l’ala catalana del partito è sul piede di guerra) e polemiche i cui strascichi si ripercuoteranno duramente anche a livello elettorale, senza ottenere nulla in cambio. Chi c’ha guadagnato è invece Rajoy, che vede realizzarsi così l’obiettivo politico espresso in questi mesi (l’obiettivo massimo sarebbe tornare al voto oggi stesso e ottenere il risultato che i sondaggi attribuiscono al momento al Pp: oltre il 37 per cento; ma Rajoy non vuole sfidare la fortuna fino a questo punto): un’unione di tutti i partiti costituzionali contro il populismo di Podemos. I socialisti non sono d’accordo, promettono un’opposizione dura e tenace non appena sarà finito il voto di fiducia e alla riunione di domenica – burrascosa ma non sanguinaria come quella di inizio mese che ha visto le dimissioni del segretario Sánchez – si sono ripromessi di usare la propria influenza sul prossimo governo di minoranza per modificare o cancellare alcune delle odiate riforme d’austerity e di flessibilità dell’economia di Rajoy.

Il premier in pectore è accondiscendente, ieri si è detto disposto a valutare un programma di più ampio consenso, ma presto anche i socialisti di migliori speranze scopriranno che la via della ragionevolezza è irta di decisioni politicamente costose, e che quella presa domenica è solo la prima. Il nuovo governo di minoranza avrà bisogno del sostegno socialista per dare il via libera a ogni singola misura, a partire dalla nuova legge Finanziaria, che va approvata  entro la fine dell’anno e in cui il governo dovrà inserire pesanti misure di contenimento del deficit per schivare la multa miliardaria minacciata dall’Unione europea. I socialisti otterranno dei risultati nella lotta anticorruzione e sulla riforma della Costituzione, ma in politica economica sarà ancora Rajoy a dettare la linea, perché la sua è l’unica che funziona, e i socialisti, se non vorranno di nuovo mandare tutto all’aria, dovranno apprendere la lezione che gran parte delle forze progressiste europee ha già imparato a proprie spese: di questi tempi, la sinistra funziona solo se accetta di fare la destra.

Categoria Estero

Commenti

Fabrizio Guarniera • 2 ore fa

Le vicende spagnole, mutatis mutandis, dovrebbero essere di insegnamento per il nostro paese, per la sinistra dem, certo, ma anche per la destra moderata, sebbene ormai cominci personalmente a perdere fiducia nella ragionevolezza dei partiti e dei politici che con gli sfasciatutto non dovrebbero avere nulla a che fare...

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