Guerra.“Centomila tonnellate di diplomazia”

Il viaggio della Abraham Lincoln e del suo gruppo d’attacco è un simbolo dell’attuale agenda politica americana nel mondo

Lorenzo Vita 20.5. 2019 www.it.insideover.com

“Ciascuna delle navi che operano nel Mediterraneo in questo momento rappresentano 100mila tonnellate di diplomazia internazionale”. Sono queste le parole con cui l’ambasciatore statunitense in Russia, Jon Huntsman, ha descritto i movimenti delle portaerei americane nel Mediterraneo, in particolare della Uss Abraham Lincoln, che alcune settimane fa passava lo Stretto di Gibilterra. Il diplomatico si riferiva in particolar modo alla Russia, vero obiettivo strategico di Oltreoceano. Ma adesso è chiaro gli obiettivi potrebbero essere duplici: la Russia e l’Iran, con un occhio di riguardo anche nei confronti della Cina.

Il viaggio della Abraham Lincoln e del suo gruppo d’attacco è un simbolo dell’attuale agenda politica americana nel mondo. Prima ha fatto una sosta davanti alle coste della Libia per esercitarsi insieme alla marina britannica, lanciando un segnale chiarissimo sul ruolo di Washington in Nord Africa. Con quell’inserimento delle navi nel Mediterraneo, Casa Bianca e Pentagono hanno lanciato un avvertimento a tutte le potenze coinvolte nel conflitto nordafricano: Washington c’era. E la dimostrazione è arrivata anche dalla telefonata di Donald Trump a Khalifa Haftar. “Centomila tonnellate di diplomazia” per l’appunto. Anzi, duecentomila, perché insieme al gruppo d’attacco della Lincoln c’era anche quello della portaerei Uss John C. Stennis: altro segnale inequivocabile della “diplomazia” innescata dal presidente Trump nel Mediterraneo allargato.

In un secondo momento, la stessa Lincoln ha fatto rotta verso il Golfo Persico. Le parole di John Bolton, consigliere per la Sicurezza nazionale Usa, è stato altrettanto cristallino: è un segnale “chiaro ed inequivocabile” nei confronti dell’Iran. Anche in questo caso, quindi, le portaerei americane diventano uno strumento di diplomazia. Un modo per far capire che gli Stati Uniti ci sono e che in quella determinata area di escalation possono colpire quando vogliono, ricordando anche l’importanza di uno strumento bellico come le portaerei che, in questi anni, è stato molto rivisto da diversi strateghi navali, convinti che questo tipo di imbarcazione non siano più necessarie come un tempo.

Le mosse della Lincoln però dimostrano il contrario. E il fatto che il suo gruppo d’attacco sia fermo davanti allo Stretto di Hormuz mentre i cacciatorpediniere sono già entrati nel Golfo Persico, lascia intendere che quella nave, il suo gruppo d’attacco, e gli aerei imbarcati su di essa sono a tutti gli effetti un nuovo strumento di diplomazia. Non utilizzato come strumento di guerra, ma anche come sfoggio di potenza e soprattutto come mezzo di propaganda e di avvertimento. Tanto è vero che il possibile uso della forza presente sulla nave è diventato ormai un modo per incutere timore ma anche come deterrente.

Lo ha fatto ad esempio per molti mesi con la Uss Harry S. Truman e tutto il suo gruppo d’attacco. L’ultima volta lo ha fatto a settembre, e sempre nel Mediterraneo, quando in Siria era esplosa la tensione su Idlib. Il Pentagono ha usato la carta della Truman più volte nel pieno delle tensioni siriane. E anche in quel caos, l’invio della portaerei nell’area operativa della Sesta Flotta doveva rappresentare un avvertimento a tutti, soprattutto perché nell’aprile dello scorso anno la stessa nave fu inviata nel Mediterraneo orientale per lanciare l’attacco contro le forze armate dei Damasco. Questo per far capire che le portaerei sono sì strumento di “diplomazia” ma anche (e soprattutto) strumenti bellici. Gigantesche armi in movimento che sono usate per premere sugli avversari e per avvertire gli alleati, ma che non vanno mai sottovalutate nel loro scopo primario: la guerra.

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