ESPLOSIONE A BEIRUT/ Le manovre politiche che spiegano un finto incidente

Esplosione a Beirut: è di almeno 73 morti e 3.700 feriti il bilancio provvisorio. Sono saltate 2.750 tonnellate di nitrato di ammonio

05.08.2020 Renato Farina ilsussidiario.net lettura 5’ 

Doveva accadere qualcosa. Ma perché questo orrore? Beirut oggi ha subìto quanto di più somigliante ci sia ad un attacco atomico senza che lo sia stato. Il governatore Maryan Abboud ha detto subito: “È una città distrutta, sembra Hiroshima”. Il rombo dell’apocalisse si è sentito fino a Cipro e a Damasco. Come? Chi? Ancora a tarda sera i titoli dei tg italiani sostenevano l’esplosione di una fabbrica di fuochi d’artificio. E chissà che non sia vero. Ma ogni ora di più appare un’ipotesi eufemistica, localmente fatta circolare ufficialmente anche per evitare sconquassi sociali e azioni sconsiderate, mentre sotto traccia nelle classi alte il sospetto è quello di un missile israeliano diretto proprio contro una specie di Santa Barbara del nemico giurato Hezbollah. Di certo la notizia dell’improvvido magazzino di mortaretti somiglia a quella della caldaia che sarebbe scoppiata sotto la Banca nazionale dell’agricoltura di piazza Fontana a Milano il 12 dicembre 1969.

Che non sia stato un incidente lo fa sospettare la convocazione immediata del Consiglio supremo di difesa da parte del presidente cristiano, ma filo-Hezbollah. E lo confermano fonti di intelligence riprese da agenzie internazionali che raccontano di due esplosioni indipendenti. Una davvero spaventosa, al porto, nella zona controllata da Hezbollah, il partito-esercito sciita, vero e proprio braccio armato e Stato nello Stato legato mani e piedi agli ayatollah di Teheran. L’altra, anch’essa devastante, ma che nessuno ha filmato non essendo stata preceduta da un incendio che ha catturato l’attenzione di tutti gli smartphone, nei pressi della residenza del leader sunnita Sahad Hariri, figlio di Rafiq, vittima di uno spaventoso attentato il 14 febbraio del 2005. Il mandante dell’autobomba, che causò 22 morti, fu ritenuto il regime siriano di Assad a sua volta alleato con Hezbollah. Proprio il 7 agosto è attesa la sentenza del Tribunale dell’Onu contro 4 miliziani di Hezbollah, ritenuti gli organizzatori dell’assassinio del capo sunnita. La condanna è ritenuta scontata. Il processo è stato in contumacia, e Hezbollah non ha nessuna intenzione di consegnare i suoi uomini.

Ripetiamo la domanda. Perché? Chi? Ovviamente stando alla qualifica di atto terroristico e/o di guerra, tra gli analisti, prima che elementi materiali indirizzino verso piste più certe, ecco le ipotesi prevalenti. Si parte da un quesito. Guardate nel video più terrificante il parallelepipedo enorme e bianco. Esso sta accanto alle fiamme, ed ecco esplode e sparisce, diventa polvere. Quello è un deposito di Hezbollah che si è trasformato in un moltiplicatore. Si tratta di un colpo contro questa organizzazione che oggi di fatto ha in mano il Libano e lo dirige a sostegno di Assad? Oppure è un auto-attentato per poter accusare un nemico esterno – Israele, gli Usa, la Turchia – e quindi radunare intorno a sé un popolo frantumato dalla crisi economica e morale?

Conviene fornire uno schizzo di ciò che è diventato il Libano ancor prima di questo evento catastrofico.

Il Paese dei Cedri un tempo qualificato come la Svizzera del Medio Oriente è oggi quanto di più lontano dai principi che sono alla base della sua identità nazionale plurale e dal suo ruolo storico di economia e piazza finanziaria forte in quest’area del mondo. La capacità di tenere insieme confessioni religiose e fondamenti culturali diversi (sunniti, sciiti, drusi, maroniti, ecc) in equilibrio prospero è collassata negli ultimi mesi, dopo che si era recuperata una certa precaria stabilità successiva alla guerra civile determinata da pressioni esterne. La rivoluzione pacifica dello scorso autunno, che ha visto unite le diverse etnie contro la corruzione di un potere politico che fa tutt’uno con quello finanziario, si è risolta con la riduzione in stato di miseria della maggior parte degli otto milioni di libanesi, con una disoccupazione che supera il 35 per cento e la riduzione dei salari. La lira libanese che per 25 anni è stata mantenuta a cambio fisso con il dollaro a 1.700 contro 1, per consentire l’attrazione di capitali remunerati fino al 15 per cento di interesse, ora è a 8.000 per 1 dollaro. Da qui la dichiarazione di default.

Questa situazione economica di totale fermo dell’economia e di assenza di liquidità rischia di tradursi in una catastrofe se una sollevazione popolare prendesse il sopravvento su una sorta di catalessi disperata dovuta alla formidabile presenza dissuasiva di Hezbollah con il suo Welfare e il suo esercito. Hezbollah oggi è l’assoluto dominus del Paese: impone la politica estera e condiziona gli equilibri interni, e ha stabilito un patto che vede alleati il capo del governo Hassan Diab e il presidente maronita Michel Aoun, un patto che la massima autorità maronita, il patriarca e cardinale Beshara Rahi, considera sciagurato perché porta con sé il rischio del disastro.

Prima del fatto di ieri il Libano era il Paese più instabile del Medio Oriente e per paradosso il più immobile. Surplace interno per l’assoluta prevalenza degli sciiti filo-iraniani; e surplace esterno dato che i vari attori internazionali osservano gli accadimenti di Beirut e si osservano l’un l’altro stando sulle loro posizioni. Era come se si attendesse fatalisticamente da parte di tutti un’esplosione epocale, per poi ragionare su come ricomporre i pezzi del cadavere. Un atteggiamento di cinismo tipico quando i rapporti di forza tra le potenze globali e regionali sono incerte.

Il viaggio del ministro degli Esteri, espressione di Aoun, in Qatar e Kuwait per chiedere sostegno economico si era risolto in un clamoroso fiasco, con i giornali locali che hanno accusato il Libano di Hezbollah di terrorismo; così come la visita di cortesia all’ambasciatore saudita a Beirut. La loro richiesta è: soldi in cambio di “presa di distanza da Iran e da Assad”. Impossibile.

Per uscire dal surplace il patriarca Rahi ha proposto una via d’uscita. La neutralità per la concordia. Ha detto: “Non esiste soluzione (alla crisi) se il Libano non abbandona gli assi politici e militari”. Hezbollah ha risposto picche, dando al cardinale del servo degli americani.

Ha scritto un analista libanese dieci giorni fa: “Lo stallo presente e accettato internazionalmente lascia percepire un conto alla rovescia verso una sorta di Armageddon”. Si capirà qualcosa nelle prossime ore. L’ideale sarebbe un intervento di istanze internazionali che disarmino le fazioni. La storia insegna che di solito arrivano a spartirsi le spoglie. Ma qui può esplodere il mondo.

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