La lezione di Tsipras ai cugini europei si chiama “sostituzione”

Da forza anti sistema, Syriza è diventata la nuova forza del sistema politico. Politiche “contro” diluite e lenta trasformazione da partito di lotta a partito socialdemocratico. Appunti sul caso Tsipras

di Guido De Franceschi | 21 Settembre 2015 ore 14:02 Foglio

Con la rotonda e parzialmente inaspettata – perlomeno nelle sue proporzioni – vittoria nelle elezioni di ieri in Grecia, ad Alexis Tsipras è riuscito un capolavoro. Per quanto riguarda la Politica con la “p” maiuscola, come si dice, il futuro del premier ellenico rimane complicato, le sue ricette restano di incerta applicabilità e assai contraddittorie nel cortocircuito tra il “vorrei” e il “posso” e il suo rapporto forzato con la troika rimane un garbuglio di adempimenti difficili da realizzare. Eppure, per quanto riguarda invece la politica più terrena, quella fatta di partiti, percentuali elettorali, seggi e rapporti di forza nel contesto politico nazionale, la conferma di Syriza al 35,5 per cento (con 145 seggi su 300), dopo otto turbolentissimi mesi al governo e dopo aver subito la scissione di Unità popolare – che prometteva sfracelli ma si è poi fermata sotto la soglia di sbarramento del 3 per cento – è una conferma che sancisce definitivamente l’“operazione” di Tsipras, quasi unica nel panorama europeo: prendere un partito piccolo e decentrato sull’asse destra-sinistra, irrobustirlo gradualmente con iniezioni di voti e portarlo a essere stabilmente uno dei due grandi partiti nazionali (anzi, in questo caso il più grande partito).

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Alcuni leader, da Tony Blair a José María Aznar, da José Luis Rodríguez Zapatero fino a Matteo Renzi, hanno conquistato la guida di un partito già grande, lo hanno trasformato e l’hanno riportato a vincere una o più elezioni; è lo stesso tentativo che sta facendo nel Regno Unito Jeremy Corbyn, fresco trionfatore nel voto per scegliere il capo del Labour. Altri, come ad esempio Achille Occhetto, hanno cambiato nome e posizionamento a un grande partito e sono riusciti a mantenerlo nella coppia di testa (in questo caso al secondo posto) nelle successive elezioni. Altri ancora, come Silvio Berlusconi e Beppe Grillo, hanno creato ex novo un movimento politico e sono riusciti a portarlo ai primissimi posti nel ranking dei due partiti più votati; in Spagna sta provando a fare lo stesso colpaccio, ma con esiti incerti, Pablo Iglesias con il suo Podemos.

Cosa decisamente inusitata è invece l’impresa di portare stabilmente tra i due principali protagonisti politici di un paese un partito che ha già una lunga storia di risultati modesti alle elezioni. Ripercorrere la storia di Syriza è come frugare tra le scomposizioni e ricomposizioni della sinistra radicale italiana, tra Rifondazione comunista, Partito dei comunisti italiani, Comunisti unitari, Sinistra Arcobaleno, L’Altra Europa con Tsipras (ecco, appunto) e così via. Per sintesi si può dire che il partito che ha vinto le elezioni di ieri – con vari assetti e con vari nomi, in cui comunque è sempre comparsa la parola “synaspismos” (coalizione) che dà il “Sy-” iniziale a Syriza – è su piazza dall’inizio degli anni Novanta e ha a lungo galleggiato tra il 3 e il 5 per cento. Poi tre anni fa, complice la crisi e con Tsipras già da qualche tempo al vertice del partito, c’è stata l’improvvisa accelerazione: nel maggio del 2012 Syriza, che nelle precedenti politiche si era dovuta accontentare di un consueto 4,6 per cento, si è arrampicata fino a un 16,8 per cento che le è valso il secondo posto. Nel giugno dello stesso anno ha ottenuto il 26,9 per cento, nelle Europee del 2014 il 26,6, nelle Politiche dello scorso gennaio il 36,3 e ieri il 35,5. Il tutto tenendo a sinistra i sempiterni sovietisti ultraortodossi del Kke, il Partito comunista greco, che il suo 5-7 per cento non lo manca mai, e alla sua destra i cocci del Pasok, il partito socialista che è stato devastato dalla corresponsabilità nel disastro economico-finanziario della Grecia ma è ancora vivo (ieri ha preso il 6,3 per cento). Per tradurre la portata del successo di Tsipras come capo di partito basta fare qualche analogia: è come se Sel, dopo aver rinnegato i suoi principi, sostituisse elettoralmente il Pd o se i Verdi tedeschi riuscissero a scalzare i socialdemocratici della Spd dal ruolo di principale partito della sinistra o se, ancora, la Lega Nord salisse al 35 per cento e diventasse “il” partito di centrodestra in Italia (cose possibili solo se i suddetti partiti, ovviamente, scelgono di fare un salto e di diventare non soltanto partiti di protesta ma anche di governo). Un’impresa che appare quasi impossibile, ma che a Tsipras è definitivamente riuscita. E in questo sta il suo capolavoro che ha pochissimi parenti in Europa. Tra questi pochissimi c’è stata in Spagna la postfranchista Alianza popular, poi trasformatasi nel Partito popolare – ma in quel caso la crescita è stata quasi immediata e in un contesto politico molto più fluido: a cinque anni dal ritorno della democrazia Alianza popular, che nelle prime due tornate elettorali aveva ottenuto dei modesti 6 e 8 per cento, era già il secondo partito. E, in Svizzera, l’Unione di centro democratico (Udc) che, dopo essere rimasta inchiodata a destra per decenni al suo 10 per cento pressoché fisso nelle elezioni, a partire dal Duemila è diventata il primo partito nazionale con percentuali superiori al 25 per cento – ma in questo caso la peculiare forma di governo, che è per antica tradizione una grossissima coalizione dei quattro-cinque partiti più votati, diluisce un po’ il valore della crescita dell’Udc.

Categoria Estero

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