Siria, le forze in campo e la storia del conflitto

Oggi quando diciamo Siria diciamo molte cose. Oltre duecentocinquantamila morti e un numero di sfollati che ha superato quello della Seconda Guerra Mondiale, innanzitutto.

Corriere della Sera 1.12.2015

Già, perché è dal 2011 che in Siria si combatte una feroce guerra civile. Ma non solo. Oggi la Siria è soprattutto un terreno di battaglia dove si affrontano vaste coalizioni regionali e internazionali. Più aumentano gli attori sul campo, più è difficile comporre i loro interessi arrivando a un tavolo di pace più solido di quello di Vienna. La Siria, insieme all’Iraq, è diventata anche il luogo di scontro delle potenze occidentali con lo Stato Islamico, l’organizzazione terroristica che non ha esitato a colpire il cuore dell’Europa provocando 130 morti solo negli attacchi di Parigi. E se sulle mappe le linee degli schieramenti si intrecciano come ragnatele, nel cuore del Medio Oriente si continua a combattere e morire con effetti e conseguenze anche sulla stabilità dell’Europa e degli Stati Uniti.

Con l’ingresso nel conflitto siriano della Russia il quadro si è ulteriormente complicato, innescando, come capitato di recente tra Mosca e Ankara, una serie di tensioni a catena sia con gli alleati della coalizione anti Isis sia con gli altri attori regionali. La crisi militare di Assad e il rafforzamento di Isis hanno infatti costituito un’ottima occasione per la Russia. Mosca, che in precedenza aveva posto il veto su tutte le risoluzioni Onu contro Assad, a ottobre è direttamente intervenuta militarmente per puntellare il regime traballante. In questo modo Putin prova a porsi come difensore del potere laico di Damasco contro il fondamentalismo, nonostante finora ben pochi bombardamenti russi siano stati rivolti contro Isis quanto piuttosto contro il resto dell’opposizione anti-Assad.

Sul piano regionale, invece, gli attori principali sono Arabia Saudita e Iran, i due grandi rivali che da 30 anni si contendono l’egemonia sul Medio Oriente. Tale rivalità, propagandata da entrambi come uno scontro religioso fra sunniti e sciiti, è però pienamente assimilabile ai più classici e laici scontri di potere. L’Iran è il più grande alleato del regime di Bashar al-Assad che insieme a l’Hezbollah libanese e al governo sciita iracheno costituiscono la cosiddetta “Mezzaluna Sciita”. La Siria è un anello fondamentale di questa alleanza in quanto costituisce la base che permette a Teheran di rifornire e sostenere gli alleati libanesi in prima linea contro Israele. Dall’inizio degli anni Settanta l’Arabia Saudita è invece emersa come potenza egemone del Medio Oriente sunnita. Grazie alle sue enormi disponibilità economiche la monarchia degli al-Saud ha sostenuto gruppi sunniti più o meno radicali in tutto il mondo. In questo modo ha contribuito a creare e alimentare realtà integraliste diventate parte della galassia jihadista internazionale. Con lei si muovono quasi all’unisono le altre monarchie del Golfo. In particolare, Qatar a Emirati Arabi Uniti sono tra i maggiori sostenitori dei gruppi ribelli più religiosamente connotati.

Gli attori del conflitto siriano

Fra questi due grandi schieramenti regionali si pone la Turchia, che all’inizio delle Primavere arabe aveva tentato di usare la propria potenza politico-economica per imporsi come nuovo protagonista in Medio Oriente. Il breve dominio della Fratellanza Musulmana in Egitto e in Tunisia, che guardavano alla Turchia come modello, aveva incoraggiato Erdogan ad abbandonare il vecchio alleato Assad per sostenere la rivolta iniziata in Siria. Un calcolo che si è rivelato errato. Oggi la Turchia è infatti alle prese con l’imprevista resilienza del regime siriano e con l’allargamento del territorio controllato dal braccio siriano del Pkk, il Pyd (Partito di Unione Democratica) che a sua volta controlla la milizia Ypg.

Infine, ci sono le grandi potenze internazionali. Gli Usa e la Russia in primis. Poi la Cina e la Germania che stanno valutando se unirsi ai raid in Siria. E  l’Europa che, come al solito, viaggia in ordine sparso. Gli Stati Uniti hanno da subito appoggiato la ribellione contro Assad, alleato del nemico iraniano. Ma hanno sempre contenuto il volume del loro sostegno, preoccupati dalla conformazione che l’opposizione al regime stava prendendo, ed evitare che armi troppo potenti finissero in mano a formazioni radicali a un passo dal confine israeliano. L’improvvisa ascesa di Isis ha però cambiato le carte in tavola e costretto gli Stati Uniti a un intervento più deciso anche se limitato a colpire gli uomini dello Stato Islamico con bombardamenti aerei. D’altro canto l’Europa in questi anni ha dimostrato ancora più riluttanza degli Usa a essere coinvolta nella crisi siriana. Solo Francia e Gran Bretagna al momento partecipano ai bombardamenti contro Isis in Siria. La crisi dei profughi e l’ondata di gravi attacchi terroristici che hanno colpito i paesi europei nel 2015 stanno però cambiando l’atteggiamento delle potenze del Vecchio Continente. Ancora una volta, però, in ordine sparso.

 

Armi e uomini: i Signori della guerra

Più si guarda a fondo nella realtà siriana e più ci si rende conto di quanto sia frastagliata e frammentata, soprattutto da un punto di vista militare. L’esercito del regime di Bashar al-Assad, che nel 2011 disponeva di 220 mila uomini, ne conta oggi circa 150 mila. Perdite e defezioni ne hanno ridotto i ranghi e compromesso la capacità operativa. Inoltre, per evitare ulteriori defezioni, negli ultimi due anni il regime si è servito prevalentemente delle unità speciali più fedeli (la Guardia Repubblicana, la 4° Divisione Corazzata, i reggimenti delle Forze Speciali) composte in maggioranza da alawiti, circa 60 mila uomini. A compensare in parte la riduzione dell’esercito regolare sono stati istituzionalizzate alcune formazioni paramilitari costituite informalmente all’inizio delle rivolta, le cosiddette “Shabbiha”. Parte di tali milizie sono state raggruppate nelle Forze di Difesa Nazionale (Fdn) mentre altri gruppi rimangono indipendenti (Battaglioni Ba’ath, Aquile della Tempesta, ecc). Il comando centrale mantiene scarso controllo sulle milizie locali, compromettendo il potere diretto del regime su parte del territorio rimasto formalmente sotto il suo controllo. L’Iran e i suoi alleati hanno a loro volta compensato le debolezze dell’esercito di Assad con interventi diretti a sostegno dell’alleato. L’Hezbollah libanese è ufficialmente coinvolto in Siria dal 2013 con circa 5 mila uomini, mentre l’Iran ha usato il conflitto siriano per mettere a punto una rete di milizie sciite in vari paesi pronte a intervenire in soccorso di regimi e paesi alleati. Tali milizie (prevalentemente da Libano, Iraq e Afghanistan) sono intervenute sia in Siria contro l’opposizione sia in Iraq dal 2014 in seguito alle conquiste dello Stato Islamico. Da ottobre il regime è inoltre sostenuto dall’intervento russo, per ora limitato a bombardamenti aerei che hanno colpito prevalentemente zone occupate dall’opposizione. Nonostante il Cremlino abbia dichiarato di intervenire contro Isis, finora solo una minoranza delle missioni russe sono state indirizzate contro i territori dello Stato Islamico.

Il campo di battaglia, i soldati e le armi

A sua volta l’opposizione ha subito notevoli trasformazioni. Dopo vari tentativi falliti di centralizzazione, l’Esercito Libero Siriano è oggi costituito da gruppi armati indipendenti che di coordinano sui vari fronti in “Camere Operative”. All’interno di queste, le formazioni dell’Els si coordinano anche con gruppi che non fanno parte formalmente dell’Els, spesso di ispirazione estremista. Il più importante fra questi sono Jabhat al-Nusra (Jn), braccio in Siria di al-Qaeda, e Ahrar al-Sham (As), gruppo salafita sostenuto, secondo alcune fonti, da Qatar e Turchia. Da registrare anche la presenza intorno a Damasco di Jaish al-Islam, gruppo salafita sostenuto dall’Arabia Saudita. I curdi dello Ypg, considerato il braccio armato dello Pyd , controllano i territori a maggioranza curda di cui hanno dichiarato l’autonomia e rinominato “Repubblica di Rojava”. Lo Ypg si è scontrato più volte con le truppe dello Stato Islamico che hanno tentato di occupare i suoi territori. Più grigio il rapporto con l’opposizione e il regime: episodi di collaborazione o scontro con la prima, stato di “non aggressione” di fatto col secondo. A partire dal 2013 lo Stato Islamico si è inserito progressivamente in Siria attaccando e conquistando prevalentemente le zone occupate dall’opposizione e dai curdi mentre i contatti con le forze del regime sono stati limitati. I maggiori scontri col regime si sono registrati dal 2014, soprattutto ad Aleppo, Palmira e nella base di Tabqa, a sud di Raqqa. Dopo la conquista di Mosul in Iraq e la dichiarazione del Califfato, una coalizione internazionale è stata formata dagli Stati Uniti e dai loro alleati internazionali per combattere l’espansione dello Stato Islamico. Oltre che in Iraq, una parte dei paesi che la compongono (tra cui cinque Stati Arabi) partecipano anche a bombardamenti nel territorio siriano.

La vita sotto le bombe

«Che tu viva in una città, in un campo profughi o in periferia in Siria il suono delle bombe lo senti sempre». I racconti di chi è sopravvissuto a questi cinque anni di guerra si assomigliano tutti. Morte, fame, la mancanza di luce, l’acqua che non c’è, le scuole che non funzionano.

Eppure ogni volta, a bombardare o a sparare è qualcuno di diverso, come mostrano le mappe di questo speciale. Il regime di Assad, le milizie paramilitari che da tempo si sono inserite nel conflitto complicandolo sempre di più, i signori della guerra che della pace non vogliono nemmeno sentire parlare perché questa significherebbe non guadagnare più soldi. Isis, Al Nusra, i ribelli, i raid della coalizione. Come abbiamo visto l’elenco è lungo. A far più paura sono le barrel bomb di Assad, bidoni riempiti di ferraglia e bulloni, così quando si schiantano al suolo fanno più male. Ma ci sono anche i raid dei droni, quegli degli aerei russi. Poi la paura, che non molla mai le donne, di finire sotto il controllo di qualche gruppo jihadista.  «Solo chi è armato cammina tranquillo in Siria», spiega chi dalla guerra non è ancora riuscito o non ha ancora voluto scappare.

Per tutti gli altri c’è la fila per la farina, sempre più lunga. O, ancora, l’acqua e l’elettricità che mancano perché una fazione controlla l’acquedotto e l’altra i generatori. Perfino parlare è difficile in Siria. Morire no. «Qui oggi connettersi a internet è un crimine. Portare le armi non lo è», raccontano gli attivisti che cercano di trovare ancora un senso nel loro paese. 

La vita quotidiana, al di là della paura della morte e della mancanza di un futuro, diventa sempre più complessa. Il prezzo della farina, e di conseguenza quello del pane, aumentano ogni giorno perché i sacchi devono attraversare un numero sempre più alto di posti di blocco. L’acqua spesso scarseggia, si beve anche dalle pozzanghere quando piove. Nelle zone controllate da Isis è successo pure che i bacini, lasciati senza nessun controllo, si contaminassero con parassiti di ogni tipo. A volte la luce salta e non torna per giorni perché le fazioni che si combattono in un quartiere non si mettono d’accordo per il controllo dei generatori. Tanti, troppi, hanno perso il loro lavoro. Artigiani, contadini, che un tempo vivevano grazie alle loro botteghe oggi non hanno più nulla.  Le donne sfollate non hanno più famiglie di accudire. E se i bambini riescono ad andare a scuola una volta al mese è un miracolo.

La Siria di domani

Esiste un ipotetico Paese la cui economia è ridotta ai minimi termini, con perdite negli ultimi 4 anni per IL TASSO Di CRESCITA NEL 2011 ERA DEL -2.3 PER CENTO un valore che eccede di quasi due volte e mezzo il proprio Prodotto interno lordo, risorse naturali ormai estinte e un’intera generazione di bambini e adolescenti che, per anni, hanno visto il loro diritto allo studio bruscamente interrotto. Un Paese in cui IL TASSO DI MIGRAZIONE NEL 2015 E’ DI 19.79 MIGRANTI OGNI 1000 ABITANTI un cittadino su due non vive più nella propria abitazione o nella propria città di provenienza, ma è stato forzato ad andare altrove, all’estero, o come sfollato all’interno dei propri confini nazionali. In cui le case sono distrutte e migliaia di scuole non fungono più da incubatrici di conoscenza, ma da rifugi per quegli stessi sfollati o, peggio, da basi militari. In cui il lavoro è ormai un optional e l’80% della popolazione è in preda alla povertà. Quel Paese è la Siria di domani. Mentre l’Europa discute se sentirsi o meno in guerra e le opinioni pubbliche e i leader politici affrontano come un’emergenza insuperabile l’arrivo di qualche migliaio di rifugiati siriani, la stessa Siria si appresta, sempre di più, a diventare un Paese fantasma. E, se LE VITTIME DEL CONFLITTO SONO PIU DI 250.000 SECONDO L’OSSERVATORIO SIRIANO PER I DIRITTI UMANI

www.syriahr.com/en/ il triste conto delle vittime e l’analisi dei danni economici sono – in parte – quantificabili e fanno capire IL TASSO DI DISOCCUPAZIONE NEL 2014 E’ SALITO AL 40% il livello di crisi cui si è arrivati, è ancora più difficile pensare ai danni prodotti dalla sospensione dei diritti basilari.

Secondo stime fornite dall’Unicef, I BAMBINI TRA GLI 0 E I 14 ANNI COSTITUISCONO IL 32.49% DELLA POPOLAZIONE più di 2 milioni di bambini siriani attualmente non va a scuola e ha dovuto interrompere gli studi, mentre almeno un altro mezzo milione è a rischio. Una scuola su quattro è stata distrutta, danneggiata, o serve ad altri scopi che, spesso, sono tutt’altro che educativi, mentre dal lato dell’offerta di istruzione, dal 2011 ad oggi più di 50 mila insegnanti hanno perso il proprio lavoro. Il tasso di iscrizione alla scuola primaria (i bambini iscritti a scuola sul totale), a livelli superiori al 93 per cento prima della guerra, è oggi crollato al 62 per cento. In tutto il mondo, soltanto la Liberia, il Sudan, il Sud Sudan e Gibuti hanno meno bambini nelle scuole. La situazione è simile per le scuole secondarie, frequentate dal 67 per cento dei ragazzi prima del 2011 e, oggi, da solo il 44 per cento. Ad Aleppo, città epicentro degli scontri, ormai sono solo 6 su 100 i bambini che vanno a scuola. La situazione, in un ipotetico domani senza guerra, potrà essere compensata dal ritorno di coloro che sono riusciti a fuggire all’estero? A guardare i dati non si direbbe: il 53 per cento dei bambini in età scolastica in Turchia, Libano e Giordania, non va più a scuola. Si tratta di almeno 700 mila bambini. In Turchia (che accoglie il maggior numero di rifugiati siriani, più di 2 milioni), quasi 8 su 10 non studia, per via dell’ulteriore ostacolo costituito dalla lingua turca. Nei campi della Giordania, i pochi che riescono ancora a seguire delle lezioni si trovano spesso in classi di 120 persone, a discapito della qualità dell’insegnamento.

Il flusso dei rifugiati, dall'inizio del conflitto a oggi

Un Paese senza futuro, dunque? Con 4 milioni di rifugiati all’estero e più di 7 milioni di sfollati interni (su una popolazione totale di 22 milioni di persone), un siriano su due non avrà più la sua casa, mentre si cercherà di capire da dove ripartire. Il turismo archeologico potrebbe non avere più senso, dopo le distruzioni degli uomini del Califfo; il petrolio, che prima della guerra, grazie a una produzione di quasi 400 mila barili al giorno, contribuiva a sostenere le casse pubbliche, è stato interamente sottratto dai jihadisti. Secondo Save the Children, il danno per i mancati salari percepiti dai ragazzi senza titoli di studio ammonterebbe a più di 2,2 miliardi di dollari, mentre solo per ricostruire le scuole ne servirebbero 3. Senza contare le incognite politiche: che Paese sarà, ad esempio, se Assad o chi per lui dovesse rimanere al suo posto? La grande maggioranza di siriani fuggiti all’estero hanno dichiarato di scappare più dal loro Presidente che dall’Isis: IL TASSO DI CRESCITA DELLA POPOLAZIONE DELLA SIRIA E’ DEL -0.16% potrebbero non voler mai più tornare. Sicuri che basterà finire la guerra per far tornare la Siria alla normalità?

A CURA DI:

Per Corriere della Sera, Marta Serafini. Per Ispi, Eugenio Dacrema

TESTI:

Per Corriere della Sera, Marta Serafini. Per Ispi, Eugenio Dacrema, Giuseppe Dentice, Paolo Maggiolini, Stefano Maria Torelli.

GRAFICHE:

Simone Paloni

VIDEO:

testi Matteo Colombo, Eugenio Dacrema, Marta Serafini, grafiche animate di Jessica Russo, produzione Melania Imerio per CorriereTv

PROGETTO:

Marcello Campestrini, Marta Serafini

Categoria estero

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