Non ci si può fidare dell’Iran

Via le sanzioni, parte la corsa di Teheran agli armamenti. I numeri e i fornitori

Il presidene iraniano Hassan Rohani (al centro) domenica durante una seduta del Parlamento di Teheran (foto LaPresse)

di Daniele Raineri | 19 Gennaio 2016 ore 06:00 Foglio

L’Iran si prepara a salire nella classifica delle potenze militari. E’ un’intenzione dichiarata nel modo più pubblico possibile dalla Guida Suprema Ali Khamenei il 30 giugno scorso, quando ha presentato il Sesto piano di Sviluppo dell’Iran. Le misure che riguardano le forze armate includono “l’espansione del budget militare fino al cinque per cento del prodotto interno lordo e l’aggiornamento della Difesa, come argine contro ogni minaccia esterna e con enfasi sul rafforzamento dell’arsenale di missili balistici”, dice una traduzione del think tank americano Atlantic Foreign Policy Council in un rapporto pubblicato a ottobre.

La linea è stata dichiarata di nuovo a fine agosto, questa volta dal presidente Hassan Rohani, che nella politica iraniana guida lo schieramento considerato moderato. Presentando al pubblico il nuovo missile Fateh 313 a combustibile solido, Rohani ha detto in diretta televisiva: “Possiamo negoziare con gli altri paesi soltanto se siamo potenti. Se un paese non ha potere e indipendenza, non può avere la vera pace. Acquisteremo, venderemo e svilupperemo quasiasi arma di cui abbiamo bisogno e non chiederemo permesso né rispetteremo alcuna risolzione su questo argomento” (nota tecnica: il combustibile solido in un razzo è una evoluzuione tecnica perché evita la fase del riempimento del serbatoio e quindi accorcia in modo drastico il tempo di lancio). Per Teheran la sospensione negoziata del programma nucleare apre, fra salve di dichiarazioni esplicite, la stagione dell’armamento convenzionale.

ARTICOLI CORRELATI  Chi media tra Teheran e Riad?  Oil Clash  Perché non possiamo fidarci dell'Iran Il budget annuo della Difesa iraniana è di circa quattordici miliardi di dollari e il rapporto prevede che salirà di “almeno un terzo” grazie alla fine delle sanzioni internazionali – che dovrebbe portare nelle casse dello stato circa cento miliardi di dollari. Con questo piano di rafforzamento nel 2016 la spesa iraniana è ancora lontana dai suoi rivali strategici: l’Arabia Saudita nel 2014 ha speso più di ottanta miliardi di dollari (sta attraversando un periodo di ristrutturazione militare) e Israele si attesta a ventitrè miliardi di dollari, secondo i dati dell’International Institute for Strategic Studies che si riferiscono al 2014 e sono stati pubblicati nel 2015. L’Italia, tanto per dare una grandezza di riferimento, spende circa ventiquattro miliardi di dollari l’anno: ma non sta lavorando a un programma di missili balistici e tra i costi maggiori ci sono quelli di mantenimento, per esempio gli stipendi del personale.

L’Iran comincia quest’anno la rincorsa nella gara regionale agli armamenti e potrebbe tenere testa all’Arabia Saudita del 2004 – che spese circa venti miliardi di dollari – e si porta allo stesso livello dell’Iraq, che non è più sottoposto a sanzioni internazionali dal 2003. C’è una considerazione da fare sul budget e sulla potenza militare: non c’è per forza una dipendenza stretta. Per esempio, il Pakistan è una potenza nucleare con attività militari intense e ha un budget di circa sette miliardi di dollari l’anno. Se poi si contano le attività speciali, clandestine e parallele – per esempio: mandare casse di fucili d’assalto a un gruppo di combattenti – questa differenza che riguarda come si usa il denaro vale ancora di più. L’Iran ha ottenuto un posto al tavolo dei negoziati sulla Siria e la sua importanza è stata riconosciuta dalla comunità internzionale proprio perché il suo aiuto al governo del presidente Bashar el Assad è diventato fondamentale, anche se nel 2015 era sotto sanzioni. Teheran manda le sue truppe speciali a combattere  contro i siriani, mette a disposizione i suoi aerei per trasportare reclute afghane e pachistane in Siria, finanzia Damasco. La stessa somma che sparisce senza lasciare ricordi tra le pieghe di un budget della Difesa occidentale può fare miracoli se investita dall’Iran o da altri sui fronti della guerriglia in medio oriente, in Yemen, in Iraq, in Afghanistan o nella Striscia di Gaza, dove un conto in banca e un deposito di armi in più fanno la differenza – “miracoli” nel senso che lascia il segno.

Con almeno sei mesi di anticipo rispetto alla fine effettiva delle sanzioni, l’Iran ha cominciato una “shopping spree” in campo militare – è un titolo del sito Business Insider di agosto 2015 – che è una definizione che si usa di solito per una giornata forsennata di shopping compulsivo. A settembre i media russi hanno dato la notizia dell’acquisto da parte dell’Iran di tecnologia nazionale nel campo dei satelliti e dell’aviazione per ventuno miliardi di dollari. L’agenzia di stato Fars aveva annunciato un mese prima  un accordo preliminare con la Russia per produrre elicotteri da guerra; e poco dopo aveva annunciato anche un accordo simile per produrre aerei.

La Russia è il partner favorito in questa campagna di armamenti e ha ceduto all’Iran anche un pezzo pregiato, il sistema di difesa missilistico S-300. Il passaggio di mano dell’S-300 ha riempito le cronache mediorientale per anni, a partire dal 2007, perché ha un ruolo strategico: può bloccare o rendere comunque molto difficile i raid aerei israeliani che spesso negli anni passati sono stati discussi sui media come “soluzione militare” al programma atomico iraniano. Ora l’Iran accetta la fine della ricerca nucleare in casa e ottiene il sistema di difesa aerea russo.

L’intesa di russi e iraniani è il riflesso dell’intesa in campo politico: Mosca e Teheran sono i due pilastri di quel nuovo asse “4+1” che include Russia, Iran, Iraq, Siria e il gruppo libanese Hezbollah e che è chiamato per vocazione naturale a contrapporsi ai paesi sunniti nella regione, a Israele e anche all’America. Le trattative di Ginevra liberano le energie compresse dell’Iran e lo spingono di nuovo al centro della scena – che a detta di molti osservatori occupa già. Nel momento in cui l’America cerca una via d’uscita per disimpegnarsi dal medio oriente e gli stati eurupei sognano di tagliare il budget della Difesa – e a volte non sognano, lo fanno – per fare fronte meglio alla crisi dell’economia, il governo di Teheran è pronto a far rendere al massimo l’uscita di un grande pezzo, la Bomba, dalla scacchiera, come un giocatore stagionato che sa condurre il suo pezzo di partita

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