Così Bersani si prepara al suo Far West

Le truppe in campo del segretario, le triangolazioni con Napolitano dei ribelli del Pd

e la storia dell’opzione Renzi (spiegata ieri a Monti). Perché la vera battaglia del leader del Pd non sarà oggi in direzione

Le ultime cartucce che Pier Luigi Bersani infilerà nel suo caricatore per tentare di sgattaiolare via dal fortino in cui il centrosinistra è stato costretto a rinchiudersi dopo il risultato elettorale non saranno sparate oggi durante la direzione del Partito democratico ma verranno utilizzate alla fine della prossima settimana, un minuto dopo che il segretario del Pd riceverà dal presidente della Repubblica il mandato esplorativo per verificare se in Parlamento esiste o no una maggioranza disponibile ad appoggiare il suo possibile governo. La direzione convocata oggi dal Pd, a meno di sorprese, dovrebbe dunque scorrere via senza intoppi e alla fine il leader del centrosinistra dovrebbe ricevere un mandato pieno, probabilmente attraverso un voto formale, per portare avanti l’operazione “stanamento del grillino”: operazione che consiste in un pacchetto di otto proposte da presentare in Parlamento e sulle quali, una volta terminate le consultazioni, chiedere la fiducia a Montecitorio e soprattutto a Palazzo Madama (non ci sarà nessun anticipo, come confermato ieri dal Quirinale, le Camere saranno aperte il prossimo 15 marzo). Politicamente parlando, la direzione di oggi non dovrebbe offrire alcun genere di spargimento di sangue, e, seppur con motivazioni diverse, nel Pd nessuno cercherà di ostacolare l’iter scelto dal segretario: qualcuno lo farà con sincerità e con lo spirito di chi crede nella strategia bersaniana di dimostrare che sono i grillini gli “irresponsabili” che vogliono riportare il paese al voto; qualcun altro lo farà invece con più malizia e con lo spirito di chi crede che per aprire una nuova fase sia giusto far terminare il prima possibile il viaggio della gioiosa macchina da guerra del segretario contro il muro del Quirinale. Quindi, in un certo senso, le truppe del Pd nei prossimi giorni continueranno a studiarsi, a osservarsi, ad annusarsi (e soprattutto a contarsi) e lo faranno, seppur mandandosi ogni giorni maligni messaggi obliqui, fino al momento in cui si ritroveranno tutti di fronte a uno scenario considerato inevitabile ormai anche dai più ottimisti bersaniani: la “non fiducia” del Parlamento al governo (di quindici giovani ministri) proposto dal segretario. Un minuto dopo, come raccontano dal Nazareno, “nel Pd comincerà il Far West”. Già, ma in che senso? Semplice. Una volta realizzato che Bersani non avrà la fiducia del Senato nel Pd emergerà con chiarezza quella linea di frattura che chiunque abbia dimestichezza con il mondo del centrosinistra non può non aver colto conversando in queste ore con un qualsiasi esponente democratico. La linea di frattura riguarda il bottone da spingere un minuto dopo il più che prevedibile “no” che Bersani incasserà a Palazzo Madama. Bersani, in questo appoggiato dalla gauche della coalizione, crede sia opportuno premere il pulsante “elezioni”, mentre Napolitano, come è ormai evidente, crede che prima di avvicinarsi a quel tasto ci siano molte altre opzioni da valutare. Dov’è la novità? La novità c’è e riguarda una questione non secondaria che nell’entourage del segretario viene classificata sotto una voce minacciosa: “I congiurati”.

Nonostante la fiducia di cui oggi sarà investito (in tutti i sensi) il segretario del Pd, all’interno del centrosinistra stanno emergendo due posizioni che saranno destinate a scontrarsi tra loro quando nel Partito democratico comincerà l’ora del “Far West”. Ovvero quando Bersani scoprirà che gli stessi giovani e vecchi “oligarchi” del Pd che in queste ore gli strizzano l’occhio facendogli “ok” con la manona non hanno alcuna intenzione di puntare le loro truppe contro i corazzieri del Quirinale.

In sintesi, il segretario ha capito che pur avendo le carte in regola per ricevere la fiducia formale dalla direzione non ha invece più la forza necessaria per scongiurare che alcuni esponenti di peso del suo partito – da Walter Veltroni fino a Massimo D’Alema, passando per Beppe Fioroni, Dario Franceschini e in piccola parte Enrico Letta – triangolino con il presidente della Repubblica per evitare “la sciagura” del voto e tentare così di attivare altri due pulsanti prima di schiacciare il tasto già minacciosamente opzionato dal leader del Pd, le elezioni a giugno. I due pulsanti in questione rappresentano il piano “b” e il piano “c” illustrati in queste ore in alcuni colloqui privati dal presidente della Repubblica e corrispondono alle due opzioni di fronte alle quali il segretario potrebbe ritrovarsi a combattere contro una buona parte del suo stesso partito.

Opzione “b”: Napolitano, dopo aver constatato che Bersani non ha i numeri per governare (che resta l’opzione “a”, almeno dal punto di vista del segretario), va alla ricerca di un “non politico” che possa mettere d’accordo Pd, Movimento 5 stelle e lista Monti, e tenta così di salvare la legislatura (il nome più gettonato è quello di Fabrizio Barca, che però al momento non ha dato la sua disponibilità, anche se è tentato, mentre quello messo in campo ieri da Michele Santoro, Stefano Rodotà, è stato accolto dal Colle con una mezza risatina).

Opzione “c”: Napolitano, dopo aver constatato che Bersani non ha i numeri per governare e dopo aver constato che non esiste un “non politico” che metta d’accordo Pd e Movimento 5 stelle, tenta la carta grande coalizione cercando una convergenza su un nuovo Monti (i nomi più gettonati sono quelli di Ignazio Visco e Fabrizio Saccomanni, rispettivamente numero uno e numero due di Bankitalia) e dialogando all’interno del Pd non più con Bersani ma con la vecchia guardia alla Walter Veltroni, alla Massimo D’Alema, alla Dario Franceschini e alla Enrico Letta. Un’ipotesi che, come conferma in qualche modo in questo virgolettato Marco Meloni, deputato del Pd vicino al vicesegretario, non sembra essere così remota. “Il Pd – dice Meloni – non può dire al presidente della Repubblica ciò che deve fare, ma ha il diritto di avanzare al Parlamento una proposta, e su questo sono convinto che la direzione sarà unita attorno a Bersani. Oggi si ragiona di questo. Ma d’altra parte credo sia chiaro al Parlamento che tornare a votare senza neppure cambiare la legge elettorale aprirebbe a rischi imprevedibili…”. Accanto a tutte queste ipotesi nelle ultime ore Napolitano ha però aperto un nuovo (e clamoroso) dossier legato a quello che sarà uno dei protagonisti della direzione di oggi: Matteo Renzi. Il sindaco di Firenze, a quanto risulta al Foglio, negli ultimi giorni è stato contattato da alcuni ambasciatori quirinalizi per sondare le intenzioni sulla sua possibile discesa in campo. E a sorpresa, come raccontato qualche giorno fa da un retroscena del Corriere della Sera, Renzi, pur non potendolo ammettere apertamente, ha mostrato una certa ma cauta disponibilità anche di fronte all’ipotesi di una chiamata del presidente della Repubblica per guidare un governo di grande coalizione e vestire in qualche modo i panni del “salvatore della patria”. Di questo, e non solo esclusivamente di “questioni istituzionali”, hanno discusso ieri Matteo Renzi e Mario Monti a Palazzo Chigi. E nel corso del colloquio (due ore), a un certo punto, il presidente del Consiglio ha sondato il sindaco anche su un’altra questione importante, di cui Monti ha discusso in queste ore con i suoi uomini più fidati (in primis Pietro Ichino) e anche con ambienti del Quirinale. Una questione così riassumibile: caro Renzi, se si dovesse andare a votare a giugno e sarai il candidato del centrosinistra non avrei difficoltà a dire che saresti tu il nome sul quale punterebbe la mia lista.

Renzi ha ascoltato la proposta con interesse senza dare però una risposta definitiva. Il sindaco non intende infatti esporsi più del dovuto – e anche oggi in direzione sarà disciplinato  e nei prossimi giorni continuerà a fare “come quei gatti che ogni tanto se ne vanno via per far sentire la loro mancanza e poi tutti vanno lì a cercarli in lacrime chiedendogli di tornare e di rifarsi vivo” (la frase è di Roberto Reggi, suo braccio destro alle primarie). “Per ora – è il ragionamento del sindaco – faccio il bersaniano ma un minuto dopo che il nostro segretario non riceverà l’incarico da Napolitano la verità è una ed è evidente: da quel momento in poi, per forza di cose, in campo naturalmente ci sono anche io”.

di Claudio Cerasa   –   @claudiocerasa

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