La mascherata è finita

Logica stringente, grinta politica, orgoglio civile e sculacciate

a Gribbels Il discorso di Napolitano è un capolavoro che ha per titolo onorario quel “Tutti per l’Italia” proposto dal Foglio prima della campagna elettorale

La mascherata è finita. La réforme oui, la chienlit non. De Gaulle parlava a una Francia in cui le istituzioni erano travolte dall’ordalia del 1968. Giorgio Napolitano, così diverso per formazione e stile dal Generale, ha porto con sobrietà e severità la sua pedagogia realista, democratica e liberale, all’Italia percorsa da rovinose mascherate, letteralmente cacche a letto (chie-en-lit), infantilismi anche violenti. Non ha senso ripercorrere gli argomenti usati dal presidente della Repubblica nel suo commosso ma ferreo discorso, tenuto alle Camere nel giorno del giuramento. Lo pubblichiamo integralmente, sapendo che è anche un saggio mai borioso, mai bolso, sempre interessante, di una vecchia cultura politica che ha radici solide, difficili da svellere per chiunque non sia un analfabeta del repubblicanesimo moderno. Un capolavoro che ha per titolo onorario, ciò che ci fa piacere, quel “Tutti per l’Italia” che fu la proposta di questo giornale alle porte della infausta campagna elettorale alle nostre spalle.

Gli argomenti no, ma il senso del messaggio è di una franchezza e di una solennità da evento propriamente storico. Unitevi – è il messaggio – fate quel che è necessario fare, piantatela di seguire mode estremiste e faziose, pregiudiziali etiche farlocche prive di vero valore politico e di realismo, tenete conto di una generazione che è fuori dal lavoro, di una società avvelenata da cattive passioni e da una prostrazione sociale che deve essere curata nel segno del senso dello stato e del senso comune. Fate le riforme necessarie a difesa di istituzioni che corruzione e vanità hanno fatto afflosciare e gemere, non siate autoindulgenti, non tradite il vostro stesso senso di colpa che vi ha portato, ormai ridotti come eravate all’impotenza, a richiamare in servizio un vecchio come me disposto ad andare avanti con fatica finché avrà le forze: se riprenderete i vecchi vizi (cosa più che probabile, ma da scongiurare) sappiate che mi assumerò la responsabilità di una chiara denuncia di fronte a tutto il paese.

Napolitano è uomo di natura mite. Prendemmo in giro la sua celebre prudenza e la bollammo di viltà, sette anni or sono, parlando di un emblema del Quirinale che assumeva con lui un coniglio bianco in campo bianco. Pesava la vicenda del 1993, l’anno del Terrore giustizialista e della fine della Repubblica dei partiti, foriera di molta innovazione selvaggia e anche di molta disgraziata chie-en-lit, appunto. Da presidente della Camera, eletto nel 1992, ci era sembrato che Napolitano non avesse fatto fino in fondo il suo dovere repubblicano opponendosi frontalmente all’assalto dei magistrati militanti, dei borghesi codini, dei giornali e delle televisioni da circo, insomma del partito manettaro che aveva inquinato la vita della società italiana e abbattuto una forma politica e civile, quella dei partiti firmatari della Costituzione, senza offrire lo stato di diritto contro la corruzione bensì la corruzione dello stato di diritto. Ma è acqua passata, e ognuno all’epoca ebbe i suoi torti. Il discorso di ieri dimostra che, torto o ragione che abbia avuto Giorgio Napolitano in quel tempo nel favorire la cancellazione dell’articolo 68 della Costituzione, quello che proteggeva il munus della politica, quella disputa è abrogata dal coraggio e dalla sapienza con cui, messo alle strette dalla crisi del paese, ha deciso di riprenderlo in mano con la forza della verità, rispettando le regole ma oltre ogni formalismo protocollare. Senza paternalismi, nella impeccabile obbedienza alla logica istituzionale e costituzionale, ma con la grinta politica e l’orgoglio civile che si richiedono a un uomo di stato preso nella disgrazia dello stato, di fronte all’imperversare di fottutissimi pseudo-carismi antipolitici e di una insopportabile e violenta caciara travestita da legittima protesta: questo l’habitus di un grande presidente eletto e rieletto in una sorta di stato d’eccezione democratico. G. Ferrara

Solo gli utenti registrati possono commentare gli articoli

Per accedere all'area riservata