Le prossime mosse di Renzi e..

Ora chi comanda? I dolori del giovane Renzi alla prova

del governo Letta.

L’amicizia con il futuro premier, i binari di Napolitano, i rischi del modello Veltroni e i nuovi passi dell’esecutivo. Mercoledì pomeriggio, poche ore dopo l’incarico offerto dal presidente del Consiglio, pardon, della Repubblica Giorgio Napolitano all’ormai prossimo presidente del Consiglio Enrico Letta, Matteo Renzi ha convocato nel suo ufficio al primo piano di Palazzo Vecchio alcuni storici amici fiorentini per provare a fare il punto della situazione e immaginare il percorso che potrebbe aprirsi con l’arrivo a Palazzo Chigi del “caro amico Enrico”, come tiene sempre a ricordare in queste ore il Rottamatore quasi a voler rimarcare una novità nella natura dei rapporti fra il sindaco e quello che di fatto oggi è il vero successore di Bersani. La sintesi dei ragionamenti di Renzi con gli amici fiorentini è che la “Letta via” apre una bella partita che consente anche nel Pd molti riposizionamenti e costringe tutti a mettere in atto un grande salto generazionale.

Renzi sa che la figura di Letta in realtà è tutto tranne che un simbolo della rottamazione, e al sindaco non sfugge che il vicesegretario sarà costretto a tenere conto (anche nella formazione del governo, che sarà pronto entro domenica mattina) dei vecchi equilibri e dei vecchi campioni del Pd. Nonostante questo però il sindaco è convinto che la nuova direzione imboccata dal Pd a trazione napolitaniana spingerà il centrosinistra su un binario in cui il ruolo del Rottamatore sarà sempre più centrale e in cui per forza di cose si verrà a creare uno scenario simile a quello vissuto tra il 2006 e il 2007 da un altro predestinato come Walter Veltroni, da tutti allora considerato nel centrosinistra come il successore naturale alla premiership dell’allora presidente del Consiglio Romano Prodi. Ieri Veltroni, oggi Renzi. Veltroni, già. Perché se è vero che il consenso ricevuto nelle ore in cui il Pd stava discutendo della sua candidatura a Palazzo Chigi ha rafforzato la posizione del sindaco all’interno del partito; è anche vero che il percorso che si apre per il Rottamatore è simile a quello che aveva di fronte a sé Veltroni nel 2007. Ed è proprio per questo che il sindaco, per non ritrovarsi nelle stesse condizioni dell’ex primo cittadino di Roma, non ha intenzione di candidarsi alla segreteria del Pd: e nel weekend vorrebbe annunciarlo ufficialmente. Ragionamento di Renzi: fare il segretario in un partito dove il segretario corrisponde alla figura del candidato premier costringe il segretario a essere una figura antagonista a quella del premier; e in questo senso guidare il Pd equivarrebbe a diventare un rivale del nostro presidente del Consiglio, rischiando davvero di fare la fine di Veltroni del 2007: che dopo essere diventato segretario e dopo essere stato costretto a dimettersi da sindaco c’ha messo del suo (sostiene Renzi) per far cadere Prodi ritrovandosi poi travolto dalla stessa caduta del Prof.

Dunque, che fare? E come evitare che l’arrivo a Palazzo Chigi di Letta possa frenare la galoppata del Rottamatore? Renzi ha due strade. Quella più naturale sarebbe la sua candidatura alla segreteria, cosa che gli permetterebbe di avere un peso maggiore sul governo e di controllare il partito   rivoltandolo come un calzino e costruendo da una posizione di forza il suo percorso a candidato premier. Renzi conta di evitare questo tragitto e per questo il prossimo 4 maggio proporrà all’assemblea del Pd una modifica all’articolo tre dello statuto: una separazione netta tra ruolo di segretario e quello di candidato alla presidenza del consiglio (cosa che porterebbe Renzi a sostenere un candidato della “gauche” alla segreteria). La seconda strada è quella del percorso dall’esterno, con una ricandidatura a sindaco nel giugno 2014 e una scalata a quei vertici dell’Anci che si libereranno nelle prossime ore: quando Letta, annunciando la sua squadra di governo, dovrebbe inserire nella rosa l’attuale presidente Graziano Delrio (Renzi lo vuole all’Istruzione). Il percorso è questo. Ma paradossalmente un minuto dopo che partirà il governo potrebbero cominciare, per una ragione inconfessabile, i dolori del giovane Renzi.

Il problema è il seguente, anche se Renzi non potrà mai confessarlo. Per il destino personale del sindaco un clamoroso successo del governo Letta (e una sua lunga durata) potrebbe complicare il percorso. E più il governo guidato dal vicesegretario sarà diverso dal governo Goria (governo a lungo evocato in questi giorni per essere stato quello guidato dall’unico presidente del Consiglio incaricato a un’età minore rispetto a quella di Letta, che fu “costituente” ma durò 260 giorni) più il sindaco dovrà evitare di farsi logorare e di farsi anche rubare la scena da qualche nuovo rottamatore che potrebbe spuntare all’interno del prossimo governo. O magari anche dallo stesso Enrico Letta, che già ieri nel suo primo appuntamento pubblico da presidente incaricato ha dato prova di notevole abilità, mettendo a nudo le contraddizioni dei Cinque stelle (“scongelatevi!”) e trasformando lo streaming con i grillini (che non hanno avuto neppure il tempo di dire “non voteremo la fiducia” e che hanno addirittura aperto alla possibilità di votare i provvedimenti del futuro governo) in un piccolo capolavoro di scouting politico.

“Il punto – spiega al Foglio un importante renziano – è che oggi vale la metafora del treno: Napolitano, come è noto, ha deviato il percorso del Partito democratico su un nuovo binario e a guidare questo treno c’ha messo Enrico. Se lui lo guiderà a lungo, sarà un successo per il paese e anche per il Pd, che in quel modo eviterà di deragliare. Ma se lo guiderà per troppo tempo è evidente che per noi bisognerà ricominciare da capo. Ed è vero che Matteo in fondo avrà l’età di Enrico nel 2022 ma è anche vero che da qui a tre anni chissà cosa potrà accadere”.

La durata, già. Renzi è convinto che la miscela composta di veti del Pdl, debolezze del Pd e peripezie giudiziarie di Berlusconi alla fine rischia di trasformare il viaggio del futuro governo in una passeggiata sulle uova. Ma sotto sotto anche il sindaco è consapevole del fatto che il presidente del Consiglio incaricato (che dovrebbe chiedere lunedì la fiducia in Parlamento) ha dalla sua parte un alleato che non mancherà di offrire il suo ombrello al prossimo inquilino di Palazzo Chigi. E se ieri durante le consultazioni si sono gradualmente abbassate (“Passi avanti”, ha detto Alfano; “L’ipotesi di un fallimento? Non voglio nemmeno pensarci”, ha detto Berlusconi dall’America) la ragione è semplice. La spiega al Foglio un importante esponente di Scelta civica: “Nessuno dei partiti può tirare la corda. Tutti sanno che se non si fa un governo Napolitano tirerà le sue conseguenze. E tutti sanno che le conseguenze non corrispondono necessariamente allo scioglimento delle Camere”.

I problemi, semmai, ancora una volta per Letta più che dal centrodestra potrebbero arrivare dal suo stesso partito. La pentola a pressione del Pd è ancora in ebollizione ma la presenza di un uomo del Pd a Palazzo Chigi (prima volta) avrà l’effetto di abbassare la temperatura: e saranno pochi i democratici che non voteranno la fiducia al governo. Letta nelle prossime ore chiuderà la questione ministri (oggi Berlusconi tornerà dall’America) e la rosa rappresenterà un punto di equilibrio non solo tra le coalizioni ma anche tra i due patti di sindacato del Pd (vecchie generazioni e nuove generazioni). Ci saranno dunque ministri renziani e ci saranno anche alcune piccole rottamazioni. Il governo che ha in mente Letta, come ricordato ieri dallo stesso futuro primo ministro, sarà naturalmente vincolato ad alcuni scopi precisi ma è un governo che vuole durare più dei 260 giorni di Goria. Renzi lo sa ma nonostante con il “caro amico Enrico” ci sia un ottimo rapporto la lunga durata dell’esecutivo un po’ la teme. Non ci saranno pugnalate alle spalle e Renzi promette anzi sinceramente di impegnarsi in prima persona per far funzionare gli ingranaggi del governo.

Ma alla lunga il rischio di ritrovarsi nelle stesse condizioni di Veltroni del 2007 esiste. E va bene l’amicizia con Enrico, ma per evitare di avere tentazioni Renzi sa che più lontano sta dalla segreteria e meglio sarà. Anche perché il sindaco sa che se il treno deraglia stavolta non finisce fuori pista solo il macchinista, ma rischia di finirci anche l’intero Pd.

di Claudio Cerasa   –   @claudiocerasa, 26/4

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