I carabinieri sono eroi soltanto se bloccati

in un letto d'ospedale. Quando sono feriti o morti,

per gli uomini in divisa sgorgano lacrime di coccodrillo. Ma quando lavorano...

Gian Marco Chiocci - Mer, 01/05/2013 - 10:20

Il carabiniere in verticale fa un certo effet­to. Orizzontale, sul letto d’ospedale o al­l’obitorio, ne fa un altro. C’è sempre una via di mezzo per lo stesso servitore dello Stato che da 200 anni s’immola per la sicurezza e la tranquillità dei cittadini tutti, inclusi quegli ambasciatori della violenza che in nessun al­tro Paese al mondo godrebbero di tali e tante immunità giu­diziarie, coperture politiche, giustificazioni mediatiche.

Il brigadiere Giuseppe Giangrande, ferito davanti Palazzo Chigi da un colpo d'arma da fuoco al collo

Quando appuntati e mare­scialli cadono nell’adempi­mento del proprio dovere – si dice sempre così - puntuali sgorgano lacrime di coccodril­lo, ipocrite solidarietà istitu­zionali, visite ai feriti e condo­gli­anze sentite a vedove e orfa­ni dell’Arma. Dopodiché, sem­pre succede che la memoria si resetti per voltare immediata­mente pagina e per ricomin­ciare, alla prima occasione, da dove si era rimasti: a sputare sull’uniforme nera bordata di rosso.

Accadrà ancora. Anche do­po i commenti stucchevol­mente esaltati alle toccanti pa­role della dolce Martina Gian­grande, figlia del carabiniere ferito a Palazzo Chigi, una del­le figlie di questa grande fami­glia­militare che per i soli scon­tri in Val di Susa ha dovuto pre­stare attenzione a più di 200 uomini (altrettanti sono i poli­ziotti) usciti dai boschi della Tav con le ossa rotte, le teste sfasciate, le divise ustionate. «Spero che quanto successo a mio padre faccia capire un po’ di cose a tutti, far riflettere e far sì che tante cose possano mi­gliorare », ha detto Martina.

Chissà se ci si ricorderà di lei, e del suo testamento, quan­do un altro appuntato finirà presto ferito o bersagliato da pietre, accuse gratuite, cagna­re ideologiche. Sarà curioso vedere cos’avranno da dire questi stessi politici che un tempo partecipavano ai cortei dei cattivi antagonisti al grido «10, 100, 1000 Nassirya» mili­tando in Rifondazione comu­nista o nei comunisti italiani. Gente che oggi simpatizza per Sel o Cinque stelle e si dice a fianco dei giovani in divisa, fi­gli del popolo come li intende­va Pasolini. Gente abituata a distribuire disprezzo sulle for­ze dell’ordine «cilene», emet­tere condanne preventive, in­vocare la piazza e il pubblico ludibrio fino a chiedere l’intro­duzione del reato di tortura, l’avvio di commissioni d’in­chiesta, la testa delle più alte gerarchie militari.

Non è retorica spicciola o di­fes­a acritica dei difensori in gi­berna e bandoliera. È quanto accade oggigiorno, ormai, al pubblico ufficiale oltraggiato senza pietà, trascinato alla go­gna eppoi in tribunale per aver reagito a una sprangata, risposto al fuoco, per essere in­tervenuto come poteva in con­dizioni di emergenza. Certo, il carabiniere che sbaglia deve pagare.Quest’ovvietà nascon­de però una realtà cui nessuno fa più caso: tra un black bloc e un carabiniere, tra un pentito di camorra e un carabiniere, tra un ultras e un carabiniere, tra un clandestino, un tossico o un cittadino qualsiasi e un ca­rabiniere, si tende a credere sempre meno al carabiniere. Chiedete alle rappresentanze militari, ai marescialli di sta­zione, all’ufficiolegale del Co­mando generale.

La realtà supera l’immagina­zione, l’impunità e latolleran­za calpestano ogni regola di legge e di buon senso. I carabi­nieri, come la polizia, fanno fa­tica a tornare quelli di un tem­po. Perché nessuno li difende, perché rischiare il processo ol­tre alla pelle, non conviene a nessuno. Fedeli nei secoli, ma mica fessi visti i precedenti. La politica sinistra che piange i carabinieri baluardo della de­mocrazia, è la stessa che li ha crocifissi al G8 di Genova, mu­linando la clava sul povero Pla­canica che per difendersi spa­rò a Carlo Giuliani, ergendosi a scudo della moltitudine che devastò un’intera città con­trapponendosi allo Stato in as­setto antisommossa.

Senza saperlo Martina ha da­to voce ai figli e alle mogli dei 1.482 cristiani di servizio allo stadio o nelle piazze usciti mal­conci negli ultimi tre anni, di cui nessuno s’è preoccupato mai. Ha parlato alla politica, perché chi tollera intenda. S’è rivolta a chi vuol rendere rico­noscibili i carabinieri in ordi­ne pubblico ma permette alla prole fighetta degli intellettua­li d’accatto di scendere in piaz­za, coperta in volto, armata di mazze e bombe carta. Senza volerlo ha chiesto di essere più seri, a tutti. Anche a chi pensa davvero che lo Stato debba risarcire la famiglia di un carabiniere ammazzato in servizio con soli 234mila euro quando alla mamma di un ra­gazzo morto per l’intervento «colposo» delle forze di poli­zia sono appena andati 2 milio­ni di euro.

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