Contratto davanti agli elettori e

la Grosse Koalition funzionerà

L’unico modo per convincere i cittadini che una “grande coalizione” non sia solo una “grande combinazione” tra membri della “casta politica” – destra, centro e sinistra finalmente “tutti uguali” – è quello di firmare un “contratto di coalizione” (Koalitionsvertrag, come si dice in tedesco). Questo va reso pubblico, deve avere contenuti piuttosto precisi (per esempio: Imu sì o no?). Una tale coalizione richiede infatti un programma di governo chiaro, nell’interesse del paese, che sia vincolante per tutti i partiti partecipanti. E’ quello che accade in Germania, e non solo nel caso di “grandi coalizioni”, esperimenti anche lì un po’ eccezionali, ma pure per coalizioni nell’ambito della destra o della sinistra (Cdu-Csu e Fdp o Spd e Verdi). Mettere in chiaro, sin dall’inizio, quali sono gli obiettivi condivisi, e quali le concessioni fatte a vicenda, darebbe trasparenza e serietà alla “strana” collaborazione tra partiti. Il contratto dimostra inoltre che si tratterà di una cooperazione limitata, definita nel tempo e basata sulla sostanza, non un episodio di “collusione”, cioè di avvicinamento eccessivo dove i partner perdono le loro specificità. C’è infine un altro vantaggio: se il contratto è chiaro, il governo sa di poter lavorare sugli obiettivi condivisi per una certa durata, senza dover sempre temere la spada di Damocle della rottura. Questo avviene perché patti chiari e definiti rendono più costoso, in termini elettorali, il fatto di prendersi la responsabilità di “staccare la spina”.

Dove sono, però, le difficoltà? Prima di tutto, ovviamente, è molto difficile negoziare ex ante un programma di governo tra persone ideologicamente opposte. Durante la campagna elettorale italiana, nello specifico, non sono mancate le aggressioni verbali. A posteriori, sarebbe stato meglio se i politici avessero evitato attacchi spesso inutili. La cortesia, e forse anche un po’ di ambiguità, aiutano a camminare insieme nell’interesse del paese. Come mai viene scoperto soltanto “ex post” il fatto che esiste un interesse comune, al di là delle differenze? Questo è vero ovunque, perché ovunque la battaglia politica è feroce (o fa finta di esserlo). Seconda difficoltà: in Germania il valore delle regole, del contratto morale, è ovviamente superiore a quello assunto in Francia o in Italia (come evidente da quello che accade a livello europeo, col Patto di stabilità e la soglia del 3 per cento del deficit per esempio). Ovviamente il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ha cercato di percorrere questa strada con il gruppo dei “saggi”, ma i “Koalitionsverträge” dei tedeschi sono negoziati direttamente e aspramente condotti tra i partiti, sotto la responsabilità del futuro cancelliere e non da “saggi” svincolati dai partiti. (Il risultato è che, su molti punti, il rapporto dei saggi italiano appare un po’ troppo generico per essere effettivamente vincolante). Terza difficoltà: una tale cooperazione è più facile quando l’accordo va trovato tra squadre nelle quali nessuno è sotto minaccia giudiziaria. “No further comment”.

Un’ultima cosa, molto personale e non legata all’esperienza europea: per essere credibile, una tale coalizione dovrebbe appoggiarsi, mi sembra, sulle nuove generazioni, sulle persone meno legate a decenni di battaglie estremamente “polarizzate”. Il fatto che i cosidetti “big” (che sono spesso, guardacaso, uomini politici del passato) non siano coinvolti nel governo Letta e che quel governo sia più giovane e femminile, è in questo senso molto positivo. Tale tentativo ha già dato agli italiani e al resto del mondo un segnale di serietà nella volontà di iniziare in un modo nuovo.

Peccato che, nell’attribuzione delle presidenze di commissioni parlamentari, lo spirito di “grande coalizione” nell’interesse del paese sia già meno presente. Si sono visti ancora giochi del passato, animati da attori del passato. Dell’ovazione fatta al presidente Napolitano dopo il suo discorso di elevatissimo livello morale, alle Camere è rimasto per ora poco. Dalla Grosse Koalition, per restare alla lingua tedesca, si rischia così di tornare subito all’“altes Denken”, cioè al vecchio modo di pensare.

di Sylvie Goulard - Europarlamentare liberale francese, 14/5

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