Marchionne: “Ecco perché nessuno investe in Italia”

Lo sfogo: “Decisione inattesa”

TEODORO CHIARELLI, La Stampa, 4/7

Fiat prende atto, come è ovvio, della sentenza della Corte Costituzionale sull’articolo 19 dello Statuto dei Lavoratori, dopo il ricorso della Fiom Cgil. Ma chiede anche che il Parlamento metta mano a una legge che stabilisca criteri di rappresentatività più solidi di quelli esistenti oggi. Questa, in sostanza, la reazione del gruppo torinese alla decisione della Consulta, al termine di una giornata che pure per Sergio Marchionne sembra iniziare con ben altri auspici.

 In mattinata l’amministratore delegato, infatti, è in visita allo stabilimento di Grugliasco dove si producono le Maserati Quattroporte e Ghibli, modelli sui quali Fiat punto per aggredire il segmento premium. Anche qui, come la scorsa settimana a Pomigliano, visita agli impianti e l’incontro con tecnici e operai, per cementare uno spirito di squadra indispensabile per ottenere buoni risultati. Poi il ritorno al Lingotto e la notizia della sentenza della Consulta. Con Marchionne che non riesce a capacitarsi, lui che pure ha una laurea in giurisprudenza (oltre a quelle in filosofia e in economia), dell’aleatorietà dello Stato di diritto in Italia. «E poi ci chiediamo - è il suo sfogo con i collaboratori - perché nessuno viene a investire nel nostro Paese».

 L’avvocato Raffaele De Luca Tamajo, professore ordinario di diritto del lavoro all’Università di Napoli e membro del collegio difensivo della Fiat, invoca l’intervento del Parlamento. «Serve una più sistematica riforma del sistema di rappresentatività sindacale e l’individuazione di criteri meno sfuggenti e meno esposti a soluzioni caso per caso, che non giovano né alla certezza del diritto, né a una gestione ordinata del sistema di relazioni negoziali». De Luca Tamajo aggiunge anche una considerazione. «Il sistema sindacale abbisogna di una regolamentazione più sistematica, meno estemporanea e più consapevole delle relazioni intersindacali rispetto a quella derivante da una sentenza additiva, che entra a gamba tesa nel tessuto dei rapporti sindacali».

 Nonostante le incertezze sollevate dalla decisione della Corte, la Fiat professa però piena fiducia nel legislatore «affinché definisca un criterio di rappresentatività più solido e più consapevole delle delicate dinamiche delle relazioni industriali». Secondo il Lingotto occorre una normativa che «dia certezza di applicazione degli accordi, garantisca la libertà di contrattazione e la libertà di fare impresa, come avviene nei paesi di normale democrazia nelle relazioni industriali».

 Detto questo, e in attesa di conoscere le motivazioni della sentenza, la Fiat non rinuncia a fare le proprie osservazioni. Così sottolinea, ad esempio, «che con questa decisione la Corte ha ribaltato l’indirizzo che la stessa aveva espresso nelle precedenti numerose decisioni sull’argomento nei 17 anni durante i quali è in vigore l’articolo 19 dello Statuto dei Lavoratori nella sua attuale formulazione». 

 Sembra che la Consulta abbia collegato il diritto a nominare le Rsa alla partecipazione alla negoziazione dei contratti collettivi poi applicati ai lavoratori dell’azienda. «Se questa lettura è corretta - dice la Fiat - la decisione non appare riferibile alla posizione assunta dalla Fiom che, a priori, ha sempre rifiutato qualsiasi trattativa sui contenuti del contratto collettivo specifico di lavoro di primo livello di Fiat e di Fiat Industrial applicato a partire dal primo gennaio del 2012, nonché sul recente rinnovo del contratto collettivo».

A Torino fanno notare di aver sempre preso tutte le decisioni di tipo industriale tenendo conto della legislazione vigente e, in particolare, proprio dell’articolo 19, modificato nel 1996 in seguito al referendum del 1995. E guarda caso, si ribadisce polemicamente, «il referendum che ha introdotto l’articolo 19 nella sua presente forma fu promosso da Rifondazione Comunista e dai Cobas con l’appoggio pieno della Fiom».

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