Obama sbaglia scommessa in Egitto

Washington è riuscita nell’impresa di stare prima con Mubarak e poi

con i Fratelli musulmani, entrambi cacciati dalla piazza cairota. Dopo l’immobilismo sulla Siria, l’America sta perdendo un altro paese arabo

Al momento in cui questo giornale va in stampa, il colpo di stato dei militari egiziani sta filando liscio. Dopo avere occupato la tv di stato nel palazzo di Maspero, sulla riva del Nilo, con un’ora di anticipo sulla scadenza dell’ultimatum – alle quattro e mezza di pomeriggio – per sorvegliare le trasmissioni, l’esercito sta presidiando con reparti scelti i punti chiave della capitale: i ponti, i luoghi dei sit-in del fronte popolare che appoggia il presidente deposto Mohammed Morsi, il palazzo presidenziale di Ittihadiya, “per proteggere la popolazione”, sostiene. Del rais che per un anno ha incarnato il sogno di potere dei Fratelli musulmani, sogno che durava da 85 anni e che ora si è infranto, non ci sono notizie. E’ stato messo su una lista di persone a cui è fatto divieto di espatrio, assieme agli altri pezzi grossi del movimento islamico, e ieri ha dichiarato così su Facebook: “Facciamo vedere ai nostri figli che i loro padri non sopportano l’ingiustizia”. Contro di lui, l’annuncio della “road map” è stato affidato al rettore di al Azhar, alta autorità del mondo islamico, al Papa della Chiesa copta e a Mohamed ElBaradei, portavoce dell’opposizione: la combinazione è abbastanza buona da dare una parvenza di legittimità alla decisione dei generali.

Il golpe militare annunciato arriva al culmine di un paradosso inestricabile. Il partito degli islamisti che perseguita giornalisti e ong e vuole imporre un programma morale al paese si difende in nome del suo diritto a governare, conquistato nelle urne con i voti. La sua shareya, legittimità, come ha ripetuto 57 volte nel suo discorso di 45 minuti ieri notte il presidente, parlando male e a braccio e di fatto sfidando l’ultimatum dei militari. Dall’altra parte la piazza, stanca delle astrazioni conservatrici dei Fratelli, preoccupata dalla svolta illiberale e stremata dalle pessime condizioni dell’economia: quelli pensano a proibire le lezioni d’inglese nelle scuole e noi soffriamo blackout, inflazione e code ai distributori di benzina, è la lamentela tipica della strada. La protesta è stata agganciata subito dai generali, che sono intervenuti con l’ultimatum. Il risultato è che “i carri armati liberali occupano le strade per un golpe liberale”, come ironizzano alcuni islamisti, descrivendo in effetti la realtà.

Ieri il dipartimento di stato americano ha rifiutato di definire “colpo di stato” quanto sta accadendo in Egitto e ha ribadito di considerare Morsi il legittimo presidente: è una questione semantica con conseguenze importanti, perché se riconoscesse il golpe Washington dovrebbe interrompere gli aiuti militari giganteschi – un miliardo e trecento milioni di dollari ogni anno – che le assicurano un qualche tipo di leva sull’Egitto. Come fece invece in Mauritania nel 2008. Il cambio di potere al Cairo è un colpo per l’Amministrazione Obama, che nel giro di due anni è riuscita nel miracolo negativo di essere sempre dalla parte sbagliata, pur facendo giravolte pragmatiche: alleata prima di Hosni Mubarak e poi dei suoi nemici, i Fratelli musulmani. Entrambe le parti sono state sconfitte dalla piazza, che infatti ora è densa di sentimenti antiamericani. “Fuck Patterson!”, dicevano alcuni cartelli in mezzo alla folla, dedicati all’ambasciatrice Anne Patterson. Lei è una diplomatica esperta – prima dell’Egitto è stata ambasciatrice in un paese ancora più difficile, il Pakistan – ma ha commesso l’errore di tessere un’alleanza funzionale con i Fratelli musulmani. Il mese scorso si è incontrata con Khaiter al Shater, il ricchissimo businessman dei Fratelli, “e non in ambasciata, è andata nell’ufficio di lui” si lamentano in piazza, a sottolineare il sospetto di complotto. Più di tutto, bruciano le parole con cui Patterson ha dismesso queste proteste di piazza, sbagliando spettacolarmente la previsione. “Il mio governo e io siamo profondamente scettici su queste manifestazioni e non crediamo che raggiungeranno il loro scopo”. Al contrario di altri ambasciatori americani nei paesi arabi, Patterson ha accesso immediato ai livelli più alti dell’Amministrazione, e proprio per la sua esperienza in Pakistan aveva tentato l’accordo con il gruppo islamista. Una scommessa sbagliata che ora l’America pagherà.

© - FOGLIO QUOTIDIANO

di Daniele Raineri   –   @DanieleRaineri

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