L'ambasciatore kazaco ci dice

“Con le carte dell’Interpol vado dal ministro di Polizia. Non c’era”

Un plico e le carte. Succede che l’Interpol affida il tutto ad Adrian Yelemessov, il rappresentante diplomatico del Kazakistan in Italia: “Va consegnata al ministro della Polizia”.

L’ambasciatore, dunque, va al Viminale e chiede udienza al ministro Angelino Alfano, che però non c’è – “difficile trovarlo lì”, dice – e lascia il plico con i documenti riservati alla sua segreteria.

“Il mio interlocutore istituzionale”, spiega Yelemessov, raggiunto telefonicamente, “è il ministro Emma Bonino, ovvio, ma era una questione conclusa dall’Interpol. Se fossi passato prima dal ministero degli Affati esteri, l’indomani la vicenda sarebbe stata su tutti i giornali del mondo. Il ministero dell’Interno era, per operatività, il luogo giusto”.

Italiano perfetto quello di Yelemessov. Ci sentiamo telefonicamente e conferma l’impressione ricavata già nelle conferenze organizzate dal centro studi Vox Populi e dalla rivista Nodo di Gordio: s’è impossessato della nostra lingua come uno sciamano prende voce dagli spiriti dei luoghi. Ex pugile, già muratore, l’ambasciatore ha il rigore della formazione militare ed è proprio – per vocazione e per stile – un ufficiale russo del Grande Gioco. I confini e le lande sono di nuovo quelle. E la partita è tutta a Oriente: “Ho il sospetto che qualcuno volesse nuocere ai rapporti commerciali tra le nostre due nazioni”.

Le diplomazie, i servizi segreti, adesso anche le banche interessate ai soldi di Ablyazov. Non sembra di essere dentro le pagine da lei amate, ambasciatore, quelle di Rafael Sabatini e del suo Captain Blood, che cosa è successo, dunque?

“Il mio compito era finito, dovevo solo informare il governo italiano e l’ho fatto. Come avrei mai potuto poi costringere la polizia italiana a fare quello che volevo io, e perfino guidare l’operazione? Ma le pare. E’ incredibile. La vostra polizia ha agito autonomamente e con una precisione da manuale. Hanno fatto benissimo il loro lavoro perché hanno esperienza di lotta alla mafia e alla camorra, e credo che non ci sia nessuno al mondo meglio della vostra polizia per determinate azioni. Mi dispiace molto per il dottore Giuseppe Procaccini, non lo conoscevo e non sapevo neanche come si chiamasse. Io cercavo il ministro, ma non c’era…”.

Ma allora perché tutto questo poco diplomatico rumore?

“Amo l’Italia, ma mi chiedo davvero per che cosa mi si condanna. Sto cercando la risposta, ma non arriva”.

Si teme per la sorte di Alma Shalabayeva.

“La signora Alma Shalabayeva sta bene. Vive in una villa che è grande due volte l’ambasciata. Nei box c’è qualche auto di grande cilindrata e non manca neppure il personale di servizio. Sta bene, ripeto. E’ dal ’91 che mi occupo di diplomazia in Italia. Ho sempre tentato di azzerare i sei-settemila chilometri che separano il Kazakistan dall’Italia, attraverso una diplomazia fra la gente, una diplomazia popolare, cercando di unire i due paesi. Spero, se il ministro Bonino me lo permetterà, di poter tornare al mio lavoro”.

Che vuol dire?

“Non sono scappato, all’incontro è andato un mio delegato perché io non potevo, proprio in quei giorni ho compiuto 50 anni…”.

Ma un ambasciatore, anche se in vacanza, quando è convocato si presenta… “… c’è una nota verbale trasmessa al ministero degli Esteri italiano. Andate a controllare. Sono pure disponibile a riferire al Senato, alla Camera…”.

Non è nel codice della diplomazia non interrompere la vacanza. A meno che non ci sia un altro tipo di problema, le condizioni di salute…

Sì. Ho avuto necessità di curarmi in questo periodo”.

Lei è stato il primo ad arrivare a Chernobyl, Yelemessov, e poi dall’agosto ’86 al marzo ’87 a pulire le radiazioni.

“In pochissimi conoscono questa storia (ride, ride stupito e di gusto). Non ne parlo mai. E’ vero, comunque, sono salito volontariamente sul tetto del terzo blocco e ho lavorato per limitare i danni della diffusione delle radiazioni”.

E oggi, l’energia atomica? Questa sua esperienza avrà determinato in lei un’opinione negativa.

“Invece no. Il Kazakistan non ne ammette l’uso militare, non possediamo armi nucleari, ma non vedo perché non possa esserne fatto un uso per le necessità civili. E’ un’energia sottomano, siamo uomini e possiamo controllarla senza fare danni”.

Il Grande Gioco è iniziato. Quale pensa potrà essere il ruolo dell’Europa nello scacchiere futuro?

“Penso più in termini di Eurasia, a quel territorio straordinario che va da Lisbona a Vladivostok. Ci piacerebbe costruire l’unione considerando tutte le possibilità di integrazione. Non esiste il compimento perfetto, certo, specialmente di una strategia di aggregazione continentale qual è quella dell’incontro tra il Mediterraneo e l’Asia ma la chiave è il rispetto tra i paesi membri senza implicazioni politiche. Nazioni indipendenti politicamente ma unite economicamente. Così la pensano Kazakistan, Bielorussia e Russia. L’integrazione nasce dalle differenze non dall’omologazione”.

E la Turchia? “Affari dell’Unione europea, non posso interferire, ma tra Kazakistan e Turchia i rapporti sono buonissimi, siamo legati storicamente”.

Cosa le piace dell’Italia, non è che lei, ambasciatore, alla fine ci risulta più italiano degli italiani?

“Tutto. Tutto mi piace dell’Italia. Sono legato alla vostra terra. Dal 1991 ho due case: in Kazakistan e in Italia. Sono molto patriota, ma l’Italia per me è una seconda patria. E’ come una famiglia, non si dice preferisco un fratello a un altro. E allora dell’Italia, non dico mi piace questo o quello, non è giusto, ma quando vedo qualcosa che non va, spingo per correggerla. Dico: questo è made in Italy, facciamolo meglio, come lo sappiamo fare. Come la vostra lingua, poi, è bellissima. La notte mi sono addormentato, la mattina mi sveglio e già parlavo italiano! Scherzo. Ero a Reggio Emilia e dopo tre mesi parlavo come Toto Cutugno. Un giorno facevo da interprete al ministro dell’Agricoltura kazaco in giro per Roma. Ogni tanto dovevo sopperire al mio italiano con l’inglese, ma siccome gli italiani, anche quelli che mi accompagnavano, non parlavano inglese né altre lingue, nello sforzo e nella pratica continua, ho imparato”.

Noi italiani non conosciamo la geografia. Ignazio La Russa, alla Camera, ha detto “kazachistani”.

“E invece l’ex ministro non ha sbagliato. I kazachi, infatti, sono parte di una delle etnie, anche se la più numerosa, mentre per kazakistani s’intendono i cittadini dello stato. Un po’ come dire italici e italiani”.

Praticamente La Russa è stato un “geografo” a sua insaputa. Che studi ha fatto, ambasciatore?

“Sono ingegnere edile, dopo il diploma sono andato a fare il muratore, in Kazakistan, mani e cemento, poi capo cantiere e, infine, ingegnere. Non ho mai avuto paura del lavoro duro, dei sacrifici e dei cambiamenti per necessità. Sono stato a Mosca a fare il ricercatore, ho pure brevettato un mattone per forni ad alta temperatura, ma dopo la caduta dell’Unione sovietica me ne sono andato e ho cominciato a occuparmi di commercio e a fare l’imprenditore. Da Mosca avevo portato un amico italiano in Kazakistan, ed ora la sua azienda è una delle più grandi tra quelle che operano nel Kazakistan (la Renco, una piccola azienda di Pesaro che in Kazakistan è cresciuta moltissimo)”.

Un ragazzo italiano trova lavoro in Kazakistan?

“Se le sue competenze sono quelle di scienze delle comunicazioni, no. Può continuare a fare il disoccupato. Ma se le sue preparazioni sono relative alle nuove tecnologie, alla ricerca scientifica, alla green economy, può fare il biglietto stasera. Basta che impari il russo. Da noi ci sono centoquaranta gruppi etnici e la società è molto internazionalizzata, attraverso il russo si riesce a comunicare con tutti. Stiamo pure preparando l’Expo 2017. Il tema sarà quello delle energie del futuro”.

© - FOGLIO QUOTIDIANO di Pietrangelo Buttafuoco, 24/7

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