Modificare la Bossi-Fini”, una fissazione

Più che la legge, a non funzionare è il contesto internazionale

I venti di guerra civile che vengono dall’Egitto, il paese più popoloso dell’Africa mediterranea, sommati alle situazioni critiche del Corno d’Africa e di altri paesi come il Mali (ma ormai i profughi arrivano anche dalla Siria), generano preoccupazioni fondate per il rischio di una nuova ondata di emigrazioni di massa sulle coste delle isole e del meridione italiani. A ogni fenomeno migratorio di grande consistenza hanno corrisposto tentativi di regolamentazione e controllo per legge, da quella firmata da Giorgio Napolitano e Livia Turco, a quella emanata da Gianfranco Fini e Umberto Bossi. Nessuna legge di dimensione nazionale, però, può dare risposte a un fenomeno continentale, e che l’Unione europea cinicamente preferisce non riconoscere per tale, rinchiudendosi in un tartufesco invito a chi è in prima linea – l’Italia, Malta, la Spagna – a pagare per tutti. Anche la responsabile dell’Integrazione, Cécile Kyenge, ha ricordato che senza un impegno europeo sui rifugiati non si può arrivare a risposte efficaci. Ma come accade sempre in Italia, un problema di dimensioni internazionali e di soluzione ardua – soprattutto in un momento in cui il peso specifico italiano, nell’area mediterranea, non è tale da determinare le decisioni e le politiche comuni – viene ridotto a occasione propagandistica. Come quella avviata dagli esponenti della sinistra interna ed esterna al Pd che puntano a una modifica in senso lassista della legislazione in vigore.

“Modificare la Bossi-Fini” è la parola d’ordine di comodo (c’è naturalmente cascata anche Kyenge) con cui si cerca di scaricare su una legge che tutto sommato ha funzionato, improntata al realismo, difficoltà  che sono di livello internazionale. Ma se non si distinguono i diversi filoni dell’immigrazione irregolare, i rifugiati che fuggono da situazioni che giustificano l’applicazione del diritto d’asilo (il cui peso va comunque ripartito equamente in Europa), l’emigrazione socio-economica che deve essere commisurata alle effettive possibilità di impiego, e quella criminale che va combattuta, non si riuscirà a graduare l’intervento dello stato. Su materie di questo genere, che si prestano a strumentalizzazioni falsamente umanitarie come a farneticazioni xenofobe, serve molta razionalità. L’asse fondamentale della legge in vigore, oltre al necessario controllo e riconoscimento, è il rimpatrio, che a sua volta dipende dalle relazioni con i paesi dai quali salpano le imbarcazioni zeppe di clandestini, che non potrebbero partire senza connivenze locali per i mercanti di schiavi. Ricostruire relazioni con paesi politicamente instabili come quelli dell’arco che va come quelli dell’arco che va da Tunisi al Sinai, è tutt’altro che semplice. La situazione dell’Egitto può rendere tutto più drammatico. Gridare alla Bossi-Fini e alla chiusura di qualche Cie è demagogia. Il Foglio, 20/8

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