Capitalismo straccione

Lacrimucce per Telecom, bastonate alla Fiat, soldi pubblici per tutti

La grande stampa piange lacrime di coccodrillo per il riassetto del gruppo di controllo di Telecom che va ad accrescere il ruolo della spagnola Telefonica, un’altra compagnia dai risultati tutt’altro che entusiasmanti. Riappare la formula della “difesa dell’italianità” che in un mercato aperto come quello europeo e in una fase di accentuata globalizzazione non sembra avere molto senso. D’altra parte, quando il governatore della Banca d’Italia cercò di difendere l’italianità del quarto soggetto bancario italiano, trovò una cordata meno che mediocre e appoggi politici solo tra chi era direttamente interessato all’affare, con la conseguenza di un disastro su cui la magistratura ha voluto porre il marchio del suo strapotere imponendosi anche sulla più rispettata istituzione nazionale, appunto la Banca d’Italia. Il più modesto tentativo di tenere in piedi una compagnia di bandiera nei cieli sembra destinato allo stesso esito fallimentare, mentre l’unica grande impresa che ha gestito l’internazionalizzazione comprando nientemeno che la terza compagnia automobilistica americana, la Fiat, è stata costretta ad abbandonare la Confindustria, che si preoccupa solo di chiedere riduzioni fiscali insieme con i sindacati, ma non rinuncia a nessuna delle infinite concessioni di sussidi settoriali. Antonio Gramsci parlava un secolo fa di capitalismo straccione, in un quadro completamente diverso, ma il valore evocativo di quel giudizio sprezzante regge tuttora.

La difesa degli interessi nazionali in un mercato aperto richiede soprattutto la capacità di ognuno di fare bene la sua parte, gli imprenditori debbono costruire strrutture produttive competitive, lo stato deve garantire un ambiente generale favorevole alla crescita della produttività. In Italia a questa dialettica virtusosa si è sostituita una pastetta fatta di mille piccoli accomodamenti che hanno permesso a un capitalismo incapace di competere e di restare a galla finchè le condizioni esterne lo consentivano, contando su sussidi più o meno mascherati. Lo stato si è indebitato perdendo autonomia le imprese non hanno investito e non sono competitive. Se non si inverte questo meccanismo alla fine bisognerà ringraziare chi dall’estero interviene per sostituire una classe dirigente incapace. IL Foglio, 25/9

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