Il Cav. prigioniero prepara la secessione

parlamentare del Pdl. Aria di arresto per Berlusconi, deputati e

senatori gli riconsegnano il mandato in attesa del verdetto della Giunta

Alla fine Daniela Santanchè contiene a stento un entusiasmo nervoso, dopo giorni e giorni in altalena, d’indecisione e di baruffe, spintonata tra gli artigli delle colombe e gli amletismi di Silvio Berlusconi. E dunque, mentre Angelino Alfano si limita a buttarle un’occhiata di debole astio sull’uscio di Palazzo Grazioli – lui che, arrivato in ritardo a casa del grande capo, s’è ritrovato sul piatto del pranzo una decisione già presa – la Pitonessa, stanca, si abbandona a una confessione liberatoria, “finalmente il partito fa qualcosa per Berlusconi”, dice con tono lupesco. I parlamentari del Pdl, riuniti in un’assemblea dominata dalla figura del Cavaliere, ieri hanno rimesso il loro mandato nelle mani dei capigruppo, Renato Schifani e Renato Brunetta. Dimissioni di massa, o meglio pre-dimissioni di massa. I falchi, come Denis Verdini, il coordinatore e silenzioso architetto di retrovia del Pdl, avrebbero preferito dimissioni immediate, la crisi di governo già ieri sera. Ma la risoluzione strategica finale è stata un’altra, in un clima di pazzotico compromesso: se a ottobre il Cavaliere sarà espulso dal Parlamento, “allora ci saranno le dimissioni effettive di tutti i parlamentari, saranno consegnate ai presidenti di Camera e Senato. Siamo in duecento, non ci sarebbe più il numero legale. La legislatura a quel punto è finita”. Sabato si terrà una manifestazione a Roma, un raduno a metà tra la celebrazione per la ri-nascita di Forza Italia e l’adunata di guerra. E d’altra parte i toni sono ancora penultimativi, in bilico, s’attorcigliano voci sull’attivismo delle procure, ma il Pdl rapidamente avvampa e rapidamente si spegne, sono bizze di coscritti assediati in un fortino senz’acqua, eppure bizze pericolose. “Da noi la vita ha il sapore del sale”, dice Sandro Bondi, mentre il Cavaliere esplode, e spiega ai suoi parlamentari, riuniti nell’efferato silenzio di Montecitorio, che “non dormo, sono i peggiori giorni della mia vita. E’ in atto un’azione eversiva”.

L’onorevole e avvocato Niccolò Ghedini ha l’aria di saperla lunga quando, con tono metà sfiduciato e metà guerriero, sottolinea il timore d’un imminente mandato di cattura da Milano, dove s’indaga su un’appendice dell’affaire Ruby. Ma arriverà davvero? Dicono a Palazzo Grazioli che la procura di Edmondo Bruti Liberati sarebbe addirittura “in gara con gli uffici di Bari e di Napoli a chi fa per primo ad arrestare Berlusconi”. Ed è una spina di angustia e di malaugurio che tiene compagnia al Cavaliere da qualche giorno, un pensiero tormentoso, “mi arresteranno, sono sicuro”. Ecco dunque la ragione dell’improvvisa agitazione del Castello, la dimora che pure si preparava ad accogliere placidamente persino gli arresti domiciliari del suo signore, che ha già compilato le pratiche burocratiche per spostare a Roma la residenza ufficiale, e dunque scontare lì l’affidamento ai servizi sociali, o la detenzione. Un indizio sulle future mosse della procura, Ghedini l’ha avuto ieri mattina e l’ha comunicato a Berlusconi. Così, riunito lo stato maggiore del partito, il Cavaliere ha illuminato di fronte alla sua corte attonita le trame giudiziarie da cui si sente avvolto, e dunque, sostenuto dai consiglieri di guerra, s’è infine risolto a un ennesimo penultimatum, quello delle dimissioni di massa dei suoi parlamentari, vecchio pallino di Verdini. Alfano, arrivato in ritardo al conciliabolo, non è stato nemmeno interpellato, il ministro dell’Interno ha dovuto prendere atto d’una decisione già presa, lui che appena ventiquattr’ore prima, con morbidezza di giocoliere, aveva esposto a Berlusconi le garanzie del Quirinale; “la stabilità di governo è il salvacondotto. Oggi è il 24 settembre e sei ancora libero, qui con noi, perché esiste il governo”.

 Come il botto di “Zabriskie Point”

Così nel Pdl non si fa in tempo a sedimentare la linea governista, officiata da Gianni Letta e da Alfano, che subito tutto salta per aria ancora una volta. “Un botto rivoluzionario, come nella scena conclusiva di ‘Zabriskie Point’. Boom!”, rievoca in romanesco bonario Fabrizio Cicchitto, l’ex capogruppo del Pdl che adesso osserva un po’ distante, con rassegnata ironia, gli sbalzi della terzana politica del suo amico Cavaliere, lui che in verità ancora gioca a pari e dispari con le due metà di sé, quella crisaiola e quella governista, quella del falco e quella della colomba, entrambe vere, verosimili, anzi un po’ artefatte. E difatti il Cavaliere parla e decide, “rilancerò Forza Italia”, “soffro queste accuse così infamanti”, ma la sua corte, che pure lo segue dovunque (zoppicando), non avanza di un passo verso il cuore della nebulosa chiamata Berlusconi. Se per un istante par loro di capire, d’intravvedere un disegno, arretrano immediatamente come davanti a una trappola, considerano infatti le sue alterne parole, prima di pace e poi di guerra, alla stregua di segni e minuzzoli seminati apposta ai crocicchi di un labirinto.

FQ.di Salvatore Merlo   –   @SalvatoreMerlo

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