“L’industria va via dai paesi non competitivi”.

Parla Pöttering. Il decano della Cdu tedesca al Parlamento europeo

sui casi Telecom e Alitalia: “Il mercato comune funziona”

Il presunto ratto di Telecom da parte degli spagnoli di Telefonica, così come il volo d’avvoltoio di Air France sulla testa di un’Alitalia indebolita, non sono da interpretare come il segno di un’Italia in svendita o come l’ingiusta rapina da parte di capitalisti stranieri. Piuttosto sono la conferma che il mercato comune funziona e che alcuni paesi devono insistere sulla strada delle riforme strutturali per rimanere competitivi. E’ questo il ragionamento di Hans-Gert Pöttering, il decano dei conservatori tedeschi della Cdu nelle istituzioni europee, eletto ininterrottamente dal 1979 in quel Parlamento europeo che dal 2007 al 2009 ha anche presieduto. Pöttering non vuole entrare nei dettagli di vicende ancora in corso, ma al Foglio dice: “Abbiamo un mercato unico da cui tutti i paesi traggono vantaggio. Se certe industrie hanno dei problemi, è per il fatto che non sono competitive a sufficienza. Non è colpa di altri, degli ‘stranieri’, ma di quei paesi che non creano le condizioni migliori per gli attori privati”. Pöttering è atterrato ieri sera a Roma e oggi interverrà, in qualità di presidente della Fondazione Konrad Adenauer, a un convegno al Senato i cui lavori saranno aperti dal presidente della Repubblica Giorgio Napolitano e a cui parteciperanno anche il presidente del Senato Pietro Grasso, Angelino Alfano (segretario del Pdl e presidente della Fondazione Alcide De Gasperi) e Reinhard Schäfers (ambasciatore tedesco in Italia).

La manifattura arranca in tutta l’Ue

Al di là dei problemi di competitività dei singoli paesi membri, è indubbio che la quota dell’industria sul valore aggiunto complessivo delle economie nazionali sia in calo in tutti gli stati occidentali: secondo i dati Ocse, la quota è scesa in Germania dal 25,1 per cento del 2000 al 23,7 nel 2010, in Italia in maniera più marcata dal 23,4 per cento al 19,4. Ieri poi la Commissione europea ha pubblicato il suo rapporto annuale sulla competitività, dal quale risulta che “il peso dell’industria manifatturiera nel pil europeo si è contratto passando dal 15,5 per cento di un anno fa, al 15,1 per cento nell’estate del 2013”, aumentando la distanza dall’obiettivo fissato al 20 per cento per il 2020. Ancora: “Sono pochi i paesi che hanno recuperato il livello di produzione manifatturiera anteriore alla crisi (Estonia, Lettonia, Lituania, Polonia, Romania e Slovacchia), mentre la maggior parte degli stati membri è ancora ben al di sotto di tale livello. L’attività manifatturiera è scesa di oltre il 20 per cento in Italia dal gennaio 2008, peggio di noi hanno fatto solo Finlandia, Spagna, Grecia e Cipro. “L’industria, inclusa quella delle piccole e medie imprese, deve rimanere un settore fondamentale per il futuro del nostro continente – dice Pöttering – Non intendiamo certo seguire la strada percorsa dal Regno Unito, paese che nel tempo si è troppo sbilanciato sul settore finanziario e dei servizi”. Anche per questo il politico tedesco non nasconde la sua soddisfazione per la conferma di Angela Merkel alla guida della Germania: “E’ una vittoria per lei e per tutta l’Europa. Il nostro partito infatti, sulle orme di Konrad Adenauer e Helmut Kohl, è da sempre quello dell’integrazione europea. Non ci saranno cambiamenti della politica tedesca su questo fronte”. Molti però, in Europa e non solo, sono allarmati proprio da questa annunciata continuità. Il governo tedesco uscente ha sostenuto fino all’ultimo momento che il binomio austerity fiscale-riforme strutturali funziona, così come ha funzionato in Germania dalla fine degli anni 90 in poi; altri sostengono esattamente il contrario, cioè che la cura rischia di uccidere il paziente: “La strategia di fondo deve rimanere quella di riduzione dei deficit e dei debiti fiscali – dice Pöttering – Prim’ancora che di una politica, si tratta di un obbligo giuridico. Dobbiamo rispettare i limiti concordati nel trattato di Maastricht e nel Fiscal compact. Poi è una questione economica: i mercati non capirebbero un cambiamento improvviso di rotta, e ci sono paesi che rischiano per questo di essere attaccati, penso alla Grecia, alla Spagna ma anche all’Italia. Una stabilizzazione dei tassi sul debito come quella in corso, invece, può favorire indirettamente le piccole e medie imprese, a patto che le banche ricomincino a prestare”. Il caso di Atene, “dove le riforme avanzano e il deficit si riduce, dimostra che le cose stanno cambiando e per il meglio”.

“Gli elettori non votano per più deficit”

Pöttering, che dal 1999 al 2007 è stato anche presidente dell’alleanza dei Partiti popolari al Parlamento di Bruxelles, ragiona poi sul fatto che gli stessi elettorati non sembrano voler premiare per ora ricette davvero alternative, magari quelle portate avanti dai partiti socialdemocratici, come pure sarebbe stato lecito attendersi nel mezzo della più profonda crisi economica e sociale degli ultimi decenni: “L’opinione pubblica comprende che la soluzione non si trova in deficit pubblici da sommare ad altri deficit pubblici. Non foss’altro perché siamo tutti consapevoli che più tardi saremo sempre chiamati a pagare quanto abbiamo speso anticipatamente oggi. La rielezione della cancelliera Merkel, certo, risente anche di fattori nazionali, per esempio del fatto che lei è percepita come rassicurante dall’elettorato. Però c’è un altro elemento che gli europei dovrebbero considerare: il partito euroscettico Alternative für Deutschland ha raccolto un certo consenso, ma è pur sempre rimasto fuori dal Parlamento. Molti elettori si chiedono se non stiamo prendendo rischi eccessivi per garantire gli altri, ma il risultato elettorale è in definitiva la prova che il mio paese non ha intenzione di dettare condizioni a nessuno, piuttosto di aiutare. La nostra tradizione è quella di puntare a una Germania europea, non a un’Europa tedesca”.

FQ: di Marco Valerio Lo Prete   –   @marcovaleriolp

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