Telecom, Alitalia e le responsabilità culturali

dei populismi di sinistra

Morando spiega come e quando “l’italianità” è diventata lo scudo per nascondere l’assenza di riformismo

Nel tentativo matto e disperato di puntare il mirino su un preciso colpevole sul quale scaricare facilmente la responsabilità della svendita di due campioni nazionali come Telecom e Alitalia – colpa del governo Letta? colpa del governo Prodi? colpa del governo Berlusconi? – molti protagonisti del dibattito politico hanno dimenticato di ricordare un piccolo particolare. Un particolare relativo al vero tema centrale dell’imminente acquisizione da parte di società straniere (Telefonica e Air France) della più importante società di telecomunicazioni italiana e del più importante vettore aereo del nostro paese. Il tema è quello, riguarda la sinistra, e coincide con la parola “italianità”. Sia per Telecom sia per Alitalia il tema dell’italianità, come è noto, è stato utilizzato in modo spesso strumentale per costruire un consenso attorno a una soluzione che spesso non ha avuto nulla a che vedere con il famoso interesse nazionale. E seppure i governi che hanno contribuito materialmente a incentivare l’ascesa di un certo capitalismo straccione siano stati sia di centrodestra sia di centrosinistra, esiste un significativo filone di pensiero che, rispetto al tema del decadimento del capitalismo italiano, intravede delle responsabilità culturali che riguardano più il mondo dei progressisti che quello dei conservatori. Responsabilità che da un lato toccano il rapporto della sinistra con i sindacati e che dall’altro sfiorano il rapporto della stessa sinistra con il mondo dell’imprenditoria.

Enrico Morando, ex senatore del Pd e oggi tra i consiglieri politici di Matteo Renzi, all’inizio di quest’anno ha scritto, in occasione dell’assemblea dell’associazione LibertaEguale, un saggio gustoso sulle ragioni che hanno portato la sinistra a utilizzare la parola “italianità” come uno scudo dietro il quale nascondere la propria assenza di riformismo. Il saggio partiva da una considerazione severa sul caso Alitalia – “noi riformisti ci siamo rivelati incapaci di rendere popolari soluzioni disponibili che avrebbero meglio tutelato l’interesse del paese a mantenere efficaci strumenti di controllo su scelte di rilievo strategico nel settore del trasporto aereo” – e con Morando riprendiamo il discorso proprio da qui. “La sinistra ha ceduto per troppo tempo al ricatto di un certo populismo che ha utilizzato la maschera dell’italianità per portare avanti due progetti scombinati, ma molto chiari. Il primo progetto era difendere a priori l’italianità di un’azienda senza preoccuparsi se prendere quella strada, e non un’altra, potesse avere delle conseguenze strategiche su quell’azienda. Il secondo progetto, al quale la sinistra ha ceduto inseguendo un certo tipo di sindacato, è quello che ha visto nella difesa del posto di lavoro un tema più importante della difesa della società che offriva quel lavoro. Mi spiego meglio. Il caso Telecom, prima, e il caso Alitalia, poi, hanno dimostrato che la politica del difendere a tutti i costi i posti di lavoro può essere anche sacrosanta e può portare molti applausi nell’immediato ma rischia poi di rivelarsi suicida quando, solo per difendere quei posti di lavoro, porta l’azienda su un percorso suicida. Un percorso senza respiro, che a lungo andare non solo non aiuterà a salvare i posti di lavoro ma potrebbe anche aggravare le condizioni della società che ti offre quel lavoro”.

Morando naturalmente ricorda che il pasticcio Alitalia, politicamente, è opera del centrodestra, e in effetti all’epoca l’avversario del Cavaliere, Walter Veltroni, era favorevole a una vendita del vettore a una società straniera. Ma paradossalmente, continua Morando, Berlusconi fece una scelta di sinistra vecchio stile, una scelta conservatrice, non riformista, e non è un caso che i primi ad applaudire la soluzione della cordata di imprenditori italiani, all’epoca, non furono solo i vertici del Pdl ma furono anche i vertici della Cgil. Uno in particolare, che il 25 settembre 2008, quattro anni fa, si rallegrò per “un’intesa complessiva assolutamente positiva”. Il nome di quel dirigente della Cgil forse lo avrete sentito: si chiama Guglielmo Epifani. “L’altro errore strategico compiuto in questi anni da una sinistra che si è spesso rifiutata di lasciarsi alle spalle una tendenza al conservatorismo è stato quello di non aver fatto nulla per combattere quel meccanismo distorto che vive dietro il capitalismo italiano. Un meccanismo che, come si sa, vede entrare in circolo sempre lo stesso tipo di veleno. Col risultato che anche le più spettacolari operazioni di acquisizione da parte di nuovi padroni avvengono sempre strapagando i vecchi detentori con soldi messi a debito della società acquisita e avvengono sempre senza dare alcuna garanzia che i nuovi investitori facciano effettivamente quello che dovrebbero fare: investire e portare nuovo ossigeno alla propria azienda”. Continua Morando: “In fondo, inutile prenderci in giro, le grandi privatizzazioni italiane sono state opera della sinistra, ed è una medaglia che facciamo bene a rivendicare, visto che il centrodestra non ha mai fatto una privatizzazione vera e quando si è ritrovata di fronte a una possibile e vantaggiosa offerta di mercato, vedi il caso Alitalia, si è comportato seguendo le tracce della peggiore sinistra populista. Ma dato che le privatizzazioni sono state avviate da noi, beh, sarebbe stato nostro dovere accompagnarle con una seria opera di liberalizzazioni e con una seria politica di aggressione al carattere di relazionale del capitalismo. Invece la sinistra ha sempre avuto difficoltà ad avanzare una proposta concreta su come smontare questo sistema infernale. Non è riuscita a indirizzare e a raddrizzare la politica industriale. Non è riuscita a rafforzare i meccanismi di tutela per le offerte pubbliche d’acquisto. Non è riuscita a sorvegliare in modo intelligente la vigilanza della Consob. Non è riuscita a imporre agli scalatori di dare garanzie al momento dell’acquisto (e cioè di investire senza scaricare i debiti sulla società). E il risultato è disastroso. Air France poteva essere venduta cinque anni fa a 3,2 miliardi e invece oggi verrà acquistata con 150 milioni. Telecom poteva diventare un protagonista del mercato europeo e invece oggi viene venduta, sostanzialmente, a una cifra che vale un quarto di quanto ci costa abolire l’Imu. Purtroppo, per quanto possa essere facile puntare il mirino verso qualche avversario, io credo che un vero riformista debba capire una cosa semplice. La sinistra ha responsabilità in quello che è successo. E prima riusciremo a non essere ostaggi di quel populismo che da troppo tempo soffoca la sinistra italiana e prima riusciremo a diventare un partito che può davvero ambire a cambiare il paese”.

FQ.di Claudio Cerasa   –   @claudiocerasa

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