Le pezze europee. Letta tra debolezza in patria

e ricerca di consenso a Bruxelles. Il rischio del “baratto”

Da una settimana Scelta civica è decapitata del presidente e fondatore Mario Monti, da ieri il Pdl è sull’orlo di una nuova crisi tra lealisti (del governo) e lealisti (di Silvio Berlusconi), e adesso entra nel vivo la battaglia per la leadership del Pd con la Leopolda dello scalpitante Matteo Renzi. I tre partiti che sostengono l’esecutivo non offrono al momento fondamenta sufficientemente solide a Enrico Letta, e così ieri il presidente del Consiglio ha tentato, ieri, di farsi forte della sua legittimità europea. Al punto di arrivare ad auspicare una sorta di riedizione delle larghe intese anche per il prossimo appuntamento elettorale, il voto per il Parlamento europeo della primavera 2014: “Alle elezioni europee – ha detto al termine della riunione del Consiglio Ue dei capi di governo – è molto importante che la maggioranza che sostiene il mio esecutivo arrivi su una piattaforma chiaramente europeista”.

Quell’appuntamento, secondo Letta, offrirà “un bel confronto fra chi vuole l’Europa dei popoli e chi vuole l’Europa dei populismi”. Proprio il legame tra la stabilità del suo governo (“una grande chiamata alla stabilità è montata dal paese, dagli imprenditori, dai lavoratori e dalle istituzioni”) e l’alternativa necessariamente populista era stato l’argomento dominante di una intervista dello stesso Letta all’International New York Times, lo scorso 15 ottobre. L’Economist in edicola questa settimana, nella rubrica “Charlemagne”, cita quell’intervista come uno dei segnali del “senso di allarme” crescente tra i leader europei in carica. E sostiene che la strategia praticata finora dagli stessi leader è destinata al fallimento: invece di arrovellarsi su chissà quali riforme istituzionali per Bruxelles, essi dovrebbero assumersi le loro responsabilità, smetterla di accusare sempre l’Ue per i problemi che non riescono a risolvere, non lasciare che le bandiere nazionali diventino appannaggio dei soli euroscettici e spiegare chiaramente la strada riformatrice che vogliono intraprendere. Ma Letta, con la sua grande coalizione indebolita, potrà riuscire in tutto ciò? 

C’è chi dubita sulle possibilità attuali del presidente del Consiglio di ottenere in Europa svolte radicali nell’interesse dell’Italia, quale che sia il senso desiderato. Ieri, nelle conclusioni del Consiglio Ue di giovedì e venerdì, il tema “immigrazione” che il governo italiano aveva chiesto fosse discusso veniva dopo tutti gli altri (come l’economia digitale). Letta ha vantato comunque il fatto che il dossier sia entrato ufficialmente nell’agenda dell’Ue. Anche se a leggere il comunicato ufficiale si scopre che “decisioni operative” saranno esaminate a dicembre prossimo, mentre il Consiglio Ue tornerà a occuparsi di immigrazione e asilo  “in una prospettiva di policy di lungo termine” nel giugno 2014. Secondo Christian Spillmann, inviato dell’Afp a Bruxelles, gli eurodiplomatici riconoscono – dietro le quinte – che il passaggio tra la solidarietà espressa in un comunicato e la condivisione del fardello sul campo sarà ben più complesso.

Dallo stesso comunicato del Consiglio Ue si desume che per ora prevalgono le priorità di Angela Merkel, appena rieletta in Germania. La leader tedesca è molto più interessata a sorvegliare i bilanci e le riforme nei paesi mediterranei che i loro confini porosi, e così è riuscita a far approvare l’idea che a dicembre si prenderà una decisione sui “contratti per le riforme”, ovvero nuovi vincoli per i paesi in accordo con la Commissione Ue. Siamo al commissariamento sotto mentite spoglie? In Italia se n’è discusso poco. Letta ieri ha detto che manterrà “la guardia alta” su questo fronte, salvo aggiungere “se uno ha le pezze… (risate). Se non abbiamo i conti in ordine, non possiamo sostenere la discussione sui vincoli Ue”; il ministro Enzo Moavero negli scorsi giorni aveva chiesto “incentivi, non solo finanziari” in cambio dei nuovi vincoli; tuttavia nel comunicato finale del Consiglio Ue si parla vagamente di “meccanismi di solidarietà associati” ai contratti.

Dice al Foglio l’economista ed ex ministro Paolo Savona: “Già quando il governo Monti ventilò l’ipotesi di barattare assistenza europea contro ulteriore perdita di sovranità nazionale ebbi occasione di scrivere sul vostro giornale che la storia avrebbe giudicato severamente chi lo avesse deciso, ben sapendo che le cessioni di nostra sovranità già realizzate non hanno portato quel miglior uso della stessa e, quindi, maggior benessere, ma solo sudditanza. Se nei nuovi accordi che si delineano vi fosse lo stesso contenuto, non posso che ribadire il mio giudizio severo e il mio dissenso”. Non c’è dubbio, perfino per gli analisti del Wall Street Journal (da sempre rigoristi), che in questa fase Berlino continui a dettare i tempi in Europa, frenando riforme importanti come l’Unione bancaria fortemente voluta dal presidente della Banca centrale europea, Mario Draghi.

Il peso preponderante della Germania nella gestione della crisi dell’euro non è certo una novità. Ora però nella comunità finanziaria s’avanza un dubbio: che un Letta indebolito in Italia possa, in Europa, “concedere” più di quanto non riesca a ottenere in cambio, in nome della lotta al “populismo euroscettico” – certo – ma anche in cerca di una stampella “esterna” per il governo e la sua maggioranza ballerina.

© - FOGLIO QUOTIDIANO di Marco Valerio Lo Prete   –   @marcovaleriolp, 26 ottobre 2013 - ore 06:59

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