Alfano, Forza Italia e il tentativo impossibile di andare

oltre il Cav.. Berlusconi sale sul predellino e scioglie il Pdl.

I ministri non partecipano e rinviano la partita all’8 dicembre

La commedia in tre atti messa in scena nell’ultimo mese dai principali vertici del Popolo della libertà – commedia cominciata il due ottobre con la robusta prova di forza mostrata in Senato del fronte ministeriale del Pdl e proseguita con l’ufficio di presidenza convocato da Silvio Berlusconi per sancire il passaggio a Forza Italia e azzerare le cariche del Pdl – avrà verosimilmente il suo atto finale il prossimo 8 dicembre, quando il Consiglio nazionale del Popolo della libertà ratificherà lo scioglimento del Pdl e la rinascita di Forza Italia. Lungo questo arco di tempo il centrodestra dovrà sciogliere un nodo che anche venerdì pomeriggio – tra minacciosi messaggi inviati a Berlusconi per non convocare la riunione (alle 15 è arrivata anche una lettera di Maurizio Sacconi) e tentativi maldestri di presentare un documento firmato dalla metà più uno dei rappresentanti del Consiglio nazionale per annullare l’ufficio di presidenza (tentativo non andato in porto) –  è rimasto ben stretto e ingarbugliato: ma che fine faranno i ministri del Pdl?

Angelino Alfano e i governativi del Pdl, dopo un pranzo impegnativo e teso con Berlusconi a Palazzo Grazioli, hanno scelto di non partecipare alla riunione con i vertici dell’ormai ex Pdl. Ma nonostante alcuni generosi equilibrismi tentati da neo-dissidenti come il capogruppo al Senato Renato Schifani (“nel ribadire la mia piena condivisione del passaggio dal Pdl a Forza Italia ritengo opportuno non prendere parte ai lavori dell’ufficio di presidenza”) la giornata, che si è conclusa con la decapitazione dei vecchi vertici del Pdl (segretario compreso), rappresenta un punto a sfavore per Alfano e certifica una questione elementare: se è vero che oggi il governo ha i numeri per andare avanti anche senza il Cavaliere, è anche vero che Forza Italia ha i numeri per andare avanti pure senza Alfano e compagnia. Dunque, che fare? E come far fruttare nel miglior modo possibile, senza darsi troppe martellate sui piedi, il tesoretto composto dai ventiquattro senatori del Pdl (Formigoni, Sacconi, Giovanardi) che pochi giorni fa hanno garantito al governo la loro fiducia? Il percorso è tortuoso, ma forse una traccia c’è.

“Oggi – ammette con il Foglio il capogruppo del Pdl alla Camera Renato Brunetta – noi abbiamo tre grandi problemi. Il primo è la Legge di stabilità, e se rimane così rischiamo di farci asfaltare dal nostro elettorato. Il secondo è la decadenza di Berlusconi da senatore, e oggettivamente non vedo come sia possibile per chi ha a cuore la storia del nostro presidente continuare a stare in una coalizione insieme a un alleato che vuole la testa del nostro leader. Il terzo problema è invece la legge elettorale. E converrete con me che se la sinistra vuole fare delle forzature, e imporre magari il doppio turno, non sarebbe una provocazione di quelle che potremmo mandare giù”. Il ragionamento di Brunetta, formulato negli stessi istanti in cui Berlusconi in serata conferma di non avere intenzione di staccare la spina al governo, indica che nel tracciato che il centrodestra dovrà seguire nei prossimi mesi – e che separa la ri-nascitura Forza Italia dall’appuntamento dell’8 dicembre – chi dovrà prendere una decisione rispetto alla propria tabella di marcia è il fronte governativo, e non quello dei così detti lealisti berlusconiani (fronte che vede oggi in prima linea il deputato Raffaele Fitto). La scelta del Cavaliere questa volta appare chiara: decadenza o non decadenza, Berlusconi ha capito che il centrodestra non può regalare a Renzi la possibilità di essere l’oppositore unico delle larghe intese, e per questo il prossimo 8 dicembre il Cav. potrebbe trasformare il Consiglio nazionale in una sorta di nuovo predellino. E Alfano? Vista da Palazzo Chigi la strada che si presenta di fronte al vicepremier sembra essere complicata, sì, ma non pericolosa per il governo (“governo a cui – come recita il comunicato dell’ufficio di presidenza del Pdl – continueremo a dare il nostro sostegno”). I numeri per andare avanti, sostiene Enrico Letta, non sono in discussione. A Palazzo Madama la maggioranza è più forte anche rispetto allo scorso due ottobre (sul pallottoliere oggi i senatori governisti del Pdl sono 24, due in più rispetto alla prova di forza di inizio mese). E proprio per questo il presidente del Consiglio è convinto che il suo vice alla fine troverà una mediazione con il Cav., perché – ecco il ragionamento di Letta – Alfano ha bisogno di Berlusconi almeno quanto Berlusconi ha bisogno di Alfano, e Angelino uscirà dal suo partito solo nel caso in cui qualcuno dovesse decidere di cacciarlo. “Il punto – suggerisce al Foglio il ministro Nunzia De Girolamo – è che nel Pdl siamo tutti convinti che l’unica leadership sia quella di Berlusconi. Abbiamo però al nostro interno delle divergenze su come stare vicini a Berlusconi e su come difendere le nostre idee. Da qui all’otto dicembre sarà nostro compito convincere tutti che il modo migliore per farlo è stando al governo, e non andando alle elezioni. Fidatevi: le rotture piacciono ai retroscenisti ma oggi semplicemente non esistono, e non sono in agenda”. Per quanto però il fronte governista del Pdl possa tentare di normalizzare la situazione la giornata ci offre una situazione chiara: Berlusconi ha azzerato le cariche del partito senza avere il consenso di Alfano e ha rilanciato il progetto di Forza Italia senza avere l’ok del segretario del Pdl. Ecco. Quello che insomma il Cav. offre ad Alfano è un abbraccio pericoloso. E se il progetto del vicepremier era di deberlusconizzare il centrodestra, da oggi si può dire che forse è Berlusconi che sta provando a dealfanizzare il Pdl, trasformandolo in Forza Italia. E la nascita di un nuovo partito avvenuta senza il consenso di chi quello vecchio lo guidava fino a un secondo prima, non si può dire sia un punto a favore dell’ex segretario dell’ormai ex Pdl.

FQ.di Claudio Cerasa   –   @claudiocerasa

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