Pdl, cronaca di un suicidio perfetto

Volano stracci tra lealisti e ministeriali: ci sono due

documenti in lizza per il Consiglio nazionale convocato dal Cav., alcuni nel dubbio li firmano entrambi. Ma s’odono scariche di pernacchie: “Vergogna, topi!”

Gli uomini del Pdl si assordano con richiami, insulti, imbonimenti, “in Consiglio nazionale si voterà a scrutinio segreto”, dice Roberto Formigoni, mentre una scarica sonora di pernacchie lo investe alle spalle come una fucilata: “Vergognati”, gli risponde Renata Polverini in poco bonario romanesco, e persino Mara Carfagna, la dolce Mara, perde la grazia, “sei un provocatore”, gli dice. E dietro ogni parola è legittimo ormai vedere il balenìo d’uno specchietto allusivo, in questi giorni di contesa, mentre ciascuna delle fazioni raccoglie firme e truppe nei corridoi del Parlamento, con alcuni deputati e senatori del Pdl che, nel dubbio e nell’incertezza – non si sa mai – si cautelano, e dunque firmano sia il manifesto di Berlusconi sia quello di Alfano (“da qualche giorno sono tutti mediatori”, racconta ironico Gianfranco Rotondi). Così quel richiamo di Formigoni allo “scrutino segreto”, nella conta fatale che dovrà tenersi al Consiglio nazionale del 16 novembre tra falchi e ministeriali, uomini di Alfano e lealisti berlusconiani, suona come un riferimento al voto sulla decadenza di Silvio Berlusconi in Senato, forse un velo di minaccia, certo un’allusione, ma chissà, “a pensar male ormai si fa sempre bene”, sussurra Mariastella Gelmini, avvolta anche lei, come tutti, da una nebbia ottundente, un avvitamento forse irrecuperabile fatto di gesti, parole, secrezioni irrazionali: sul sito del Pdl la foto di Angelino Alfano è stata sostituita da un enorme banner pubblicitario: www.forzasilvio.it. A malapena si salutano, ciascuno lavora per sé da frazione scissa, ognuno ha gli occhi puntati su orizzonti diversi.

Berlusconi si immagina alla testa di una nuova Forza Italia, vorrebbe imporre l’amore, pacificare e comandare, prendere le distanze dalla Legge di stabilità, confessa che “abbandonare Letta al suo destino sarebbe una liberazione”. Alfano vuole invece abolire la seconda rata dell’Imu, tenersi il Pdl con o senza il Cavaliere, mantenere la sua squadra al governo. Per via di questo realismo è pure un po’ depresso, Alfano, e dunque un suo amico di buone letture, il senatore Andrea Augello, ricorre a Brecht: “Non è il vento dei discorsi (di Berlusconi) che farà muovere i mulini della storia (di Letta)”.

Ma nel Pdl ci si contende anche l’incorporeità dei numeri. La mattina di martedì 5 novembre, tre giorni fa, Denis Verdini, schivo architetto di retrovia, ha consegnato a Berlusconi uno dei suoi report, uno studio scientifico. “Abbiamo 205 firme, ma ne raccoglieremo alla fine 608. Pesiamo il 72,4 per cento”, ha spiegato Verdini al Cavaliere. “Alfano al massimo arriva a 115 voti, i restanti 116 sugli 800 componenti del Consiglio nazionale o non firmano o non si presentano”, insomma: “Presidente, il partito è ancora tuo”. Ma interpellato sull’argomento, il senatore Augello, con slancio ironico, dice: “Qualcuno dovrebbe informare Berlusconi sul fatto che potrebbe essere stato un antenato di Verdini a fornire la cartina geografica del Tigrè al generale Baratieri prima del disastro di Adua”. Dunque i conti non tornano, anzi, nel Pdl sfasciato non torna più nulla, ma ciascuno è pronto a indossare comunque l’armatura, ognuno si prepara a una strana guerra che ha il sapore della dissoluzione. “Attacchiamo l’asino dove vuole il padrone”, celia Paolo Romani, con l’aria e il fatalismo di chi si aspetta che l’effetto della scalciata possa essere dolorosamente indimenticabile. L’attesa dello scontro li sorregge, li sospinge, agisce come un anestetico, suscitando parvenze di mobilità, spasmi di vitalità in qualcosa che non c’è più, che è stata amputata.

“Povertà umana, questo mi viene in mente quando penso alla nostra situazione”, dice Daniela Santanchè, con la foga di una Pitonessa che s’avventa sul boccone di cibo: “Alfano?”, dice, “lui e i ministri non si rendono conto di essere utilizzati da Napolitano e dagli altri pifferai magici. Quando non serviranno più, questi poveri ministri saranno affogati nel laghetto come dei topi. Carlo Maria Cipolla divideva il mondo in quattro categorie: i banditi, gli stolti, gli intelligenti e gli stupidi. Ecco, loro sono gli stupidi, quelli che danneggiano gli altri (Berlusconi) senza trarne alcun vantaggio”. Ma Fabrizio Cicchitto, che più di tutti ha riscoperto la vitalità del conflitto, è invaso da un sorriso ingiurioso, il lampo livido che precede lo scoppio del fulmine: “Siamo al neurodelirio”, dice, “se Alfano non ci fosse dovremmo inventarlo”. E dunque il Pdl è una folla turbolenta, a tratti inamabile e così incredibilmente mortale, così precaria, che secondo qualcuno sta già sparendo.

“Siamo una palla da prendere a calci, siamo il nulla, il vuoto, il niente”, ha detto Sandro Bondi al Foglio, razza condannata, quasi i pellerossa o i pigmei. E si capisce che per Bondi, per lui che lo ama, Berlusconi è l’uomo al crepuscolo, colui che personifica la potenza disfatta. “Alcuni di noi si vergognano di essere berlusconiani”, sospira la Pitonessa Santanchè, “Napolitano ha impedito a Berlusconi di governare e loro ne approfittano, vogliono essere accettabili, presentabili, sedersi al banchetto di Draghi e Napolitano. Ma sono delle povere vittime designate”. Domina così un sentimento d’inconsapevole dissoluzione, il Pdl è un mondo che muore, che si uccide fraternamente.

© - FOGLIO QUOTIDIANO di Salvatore Merlo   –   @SalvatoreMerlo, 8 novembre 2013 - ore 06:59

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