Con o senza Napolitano. Tregua, altro che patto

Così Renzi sfiderà Letta sulla legge elettorale

Le due velocità, il percorso non ancora concordato, la fiducia, la finestra per votare

Il patto. L’asse. L’alleanza. L’accordo. L’intesa. Le sintesi rassicuranti offerte ieri da molti giornali rispetto all’incontro di lunedì tra Enrico Letta e Matteo Renzi descrivono una realtà distorta che ha tutta l’aria di essere simile a una mezza verità, per non dire a una mezza bugia. Ci spieghiamo. E’ vero che a Palazzo Chigi il segretario del Pd e il presidente del Consiglio hanno convenuto sulla possibilità di sottoscrivere un patto dopo l’approvazione della Legge di stabilità. Ma da qui a dire che il governo sia blindato, che tra Letta e Renzi esista un percorso concordato e che il sindaco abbia rinunciato all’idea di andare a votare all’inizio del prossimo anno diciamo che ce ne vuole. E’ una tregua, più che un patto. Già. Ma in che senso?

Prima questione. Renzi è convinto che il governo abbia 90 possibilità su cento di andare avanti e crede davvero che nel 2014 dovrà trovare un modo sia per convivere con Letta (che ha promesso a Renzi che dopo il semestre europeo non si candiderà alle primarie ma seguirà un percorso extra italiano, obiettivo nel 2015 la presidenza della Commissione) sia per affrontare le Europee senza farsi asfaltare da Grillo (Europee a cui Renzi dovrebbe correre da capolista puntando sulla rottamazione dei parametri di Maastricht). Fatta la premessa, quel dieci per cento di possibilità Renzi ha però intenzione di farlo fruttare. E non solo come fosse una frusta utile a far lavorare il governo ma anche come fosse una porta da aprire in qualsiasi momento. Come? Un piano c’è.

Come avrete capito, tutto ruota attorno alla questione della legge elettorale. E qui, nonostante i sorrisi, le strette di mano, le veline offerte ai giornali, la distanza tra Letta e Renzi è ancora abissale. Oggi, nel discorso che farà alle Camere per ottenere la fiducia dei due rami del Parlamento, il presidente del Consiglio entrerà nel merito della riforma, parlerà di bipolarismo, di legge da cambiare in tempi rapidi, mostrerà di aver accolto la proposta di Renzi di orientare il percorso della riforma su un modello simile a quello del sindaco d’Italia ma alla fine del discorso, salvo sorprese, risulterà chiaro che almeno su un punto le differenze tra Letta e Renzi sono potenzialmente esplosive: il primo, Letta, sostenuto ieri anche da Giorgio Napolitano, che ha ricordato che di elezioni non c’è proprio aria, vuole una riforma elettorale da approvare non subito ma all’inizio della primavera, in modo da mettere il governo al riparo da possibili “Matteate” (termine che ormai i lettiani usano con lo stesso significato con cui nel mondo del calcio, viene utilizzato il termine “Cassanate”, per inquadrare le pazzie di Antonio Cassano). Il secondo, invece, ovvero Renzi, vuole una riforma da approvare subito, immediatamente, e da mettere in cantiere prima della fine dell’anno. Il termine indicato da Renzi per completare l’iter della legge è il 25 maggio, data di elezioni europee.

Ma la verità è che il sindaco ha intenzione di infilare la riforma sul binario parlamentare entro pochi giorni, e i segnali arrivati ieri dalla Camera, dove i deputati renziani Andrea Marcucci e Rosa Maria Di Giorgi, d’intesa con il capogruppo Roberto Speranza, hanno chiesto al presidente Boldrini di concordare tempi e modi del passaggio del dossier sulla legge elettorale da Palazzo Madama a Montecitorio, indicano che la velocità di crociera del segretario e quella del presidente del Consiglio registrano due andature molto diverse. E la certificazione plastica della volontà di Renzi di spingere, spingere e spingere per approvare in tempi rapidi la riforma è stata offerta ieri sera  dal segretario durante il primo incontro avuto con le truppe dei parlamentari del Pd (400 tra deputati e senatori) dove Renzi ha comunicato la sua decisione di portare a Montecitorio la legge elettorale e di volersi rivolgere, per approvare la legge, a tutti. E a tutti significa a tutti: prima alle forze che sostengono il governo; dopo, se il governo dovesse fare melina, anche alle forze che non sostengono il governo (Forza Italia, Sel, Lega, Grillo).

Letta, con un sorriso, ritiene che per Renzi sia impraticabile la strada della legge con il Cavaliere – significherebbe spaccare il Pd, dividere i gruppi parlamentari e provocare una scissione dei democratici. Renzi però continua a ripetere che il Pd oggi lo guida lui e che per questo, se Letta non darà disponibilità, la legge si farà con o senza il governo. Ed è evidente che se per caso Renzi fosse costretto a percorrere questa strada per il governo comincerebbe il tic tac. “Entro due mesi – dice al Foglio Dario Nardella, deputato del Pd, renziano, ex vicesindaco di Firenze – occorre portare a casa la legge elettorale e l’abolizione del Senato. Non si deve tergiversare. Il Pd oggi ha il dovere di parlare con tutti, Forza Italia compresa. E se entro due mesi non ci sarà una nuova legge bisogna dire la verità: non avrebbe più senso continuare con questa esperienza di governo”.

Fare una legge con Forza Italia, dicono i renziani, non significherebbe far cadere il governo ma avere uno strumento per marcare il terreno, spingere il presidente del Consiglio a fare le riforme e sottrarre alla coppia Letta-Napolitano l’arma del “non si può votare se prima non facciamo una nuova legge”. Se le cose dovessero andare come chiede Renzi, dunque, sempre che i gruppi parlamentari del Pd seguano senza battere ciglio la linea del segretario (non è scontato), all’inizio del prossimo anno ci sarà una nuova legge elettorale. Tutto si gioca sui tempi. Ma se Renzi dovesse vincere la partita quel “dieci per cento di possibilità” potrebbe trasformarsi non solo in una clava per far lavorare il governo ma anche in un bottone che il sindaco-segretario potrebbe schiacciare davvero in qualsiasi momento.

FQ. di Claudio Cerasa   –   @claudiocerasa

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