La camera delle meraviglie di Matteo

Così Renzi ha infilato Alfano & Co. nel cassetto

delle cose inutili. A Renzi offrono “il sindaco d’Italia”, il maggioritario a doppio turno, dov’è possibile stendono anche un tappeto rosso, anticipano un desiderio, precedono una richiesta, e quando il ragazzino arriva al sommo sberleffo di scippare le deleghe di Gaetano Quagliariello alle Riforme – “di questo me ne occupo io”, ha detto a Enrico Letta – loro s’impongono persino un sorriso che occulta lo smarrimento, gli sguardi remoti e cosmici, spersi, che gli uomini di Angelino Alfano ormai si scambiano nel ritiro di Palazzo Chigi. E dunque smaniano per una carezza pubblica del segretario rottamatore che invece li fa vittime di mobbing politico, li snobba, li considera irrilevanti, li abbandona al dileggio dei suoi subalterni, poco più d’uno sgarro di calcolo nell’abaco del destino parlamentare (“Alfano è una mosca fastidiosetta”, ha detto Antonio Funiciello). E infatti Fabrizio Cicchitto, che fra tutti loro è il più smagato, presentendo la mala parata, con grande mestiere ieri ha recitato il ruolo del duro sull’Unità, house organ sospeso tra vecchio Pd e nuovo corso renziano, “tratteremo sulla riforma elettorale, ma con il coltello fra i denti”. Ma nel frattempo Renzi parla con Berlusconi e Grillo.

Matteo Renzi è nella sua Wunderkammer, e in questa sua magica camera delle meraviglie, luogo della politica e metafisica del potere, il segretario ragazzino sembra poter fare qualsiasi cosa, scovare e manipolare oggetti straordinari, scombinare le paludose regole imposte da Giorgio Napolitano, e dunque trattare con Silvio Berlusconi e con Nichi Vendola, persino con Beppe Grillo, sfidare il torpido acquitrino delle larghe intese, “una maggioranza per il maggioritario a doppio turno c’è già”, esulta il suo Roberto Giachetti, mentre Paolo Gentiloni, renziano allusivo per esperienza, sussurra che “questa maggioranza non coincide necessariamente con quella che sostiene il governo”. E dunque il segretario del Pd sa che la chiave per aprire la porta delle elezioni anticipate si chiama legge elettorale, oggetto potente ed essenziale, esoterico, pietra filosofale del potere, e che i suoi interlocutori, gli alchimisti con i quali combinare gli elementi e scombinare l’alambicco proporzionalista, non sono Angelino Alfano e Gaetano Quagliariello, “quelli con un ministro ogni due deputati”, ironizza Antonio Funiciello, più renziano di Renzi, “le mosche fastidiose e trascurabili”, aggiunge lui, insomma gli inessenziali Alfano e Quagliariello e Lupi e Cicchitto, “quelli che la riforma non la faranno mai”, come ha detto Renzi col piglio sprezzante, bullesco, di chi è sin troppo compreso di sé, della propria forza (e delle altrui debolezze). E certo Renzi si muove, e parla, con l’agilità bronzea di chi nasconde, ma neanche troppo, una birbante strizzatina d’occhio al vecchio Berlusconi, codice ribaldo, tra ribaldi. “Oggi Alfano e gli altri voteranno la fiducia al governo di Letta”, dice Gianfranco Rotondi, deputato di Forza Italia, ex ministro berlusconiano, “ma Alfano ormai non serve ad altro. Non ha più spazi di manovra politica, farebbe bene a tornare con noi. Renzi tratta al di fuori della maggioranza. E questo è un fatto enorme”.

Insomma in Forza Italia, tra gli uomini e le donne del Cavaliere incerto, eppure sempre capace di felina lucidità opportunistica, se ne sono accorti, lo sguardo luccica voluttuoso, e non solo per la disgrazia e il silenzio tormentato dei vecchi amici alfaniani (in quale cono d’ombra s’è occultato il ministro Mario Mauro?). “Le forze bipolariste sono maggioranza”, anche se l’accordo sul doppio turno è complicato, dice Altero Matteoli con un fremito nervoso, dopo tanto penare (e temere), “è urgente che i bipolaristi trovino un’intesa per approvare, ancor prima che siano note le motivazioni della sentenza della Consulta, un nuovo sistema elettorale”, anticamera delle elezioni. “La riforma Renzi non può farla con la maggioranza risicata che sostiene Letta”, ed è per questo che il Nuovo centrodestra di Alfano, a pochi giorni dalla festa, dalla celebrazione del suo nuovo simbolo, malgrado il “coltello fra i denti” di Fabrizio Cicchitto, declina in un turbinio di velleità (“a Renzi offriamo il sindaco d’Italia”) che s’infrangono contro un muro di pernacchie renziane. Il sindaco ragazzino incontrerà Alfano il 18 dicembre, per la presentazione del libro di Bruno Vespa, ma risposte, da Firenze, non ne sono pervenute, lasciando così Alfano, remoto nelle stanze del Viminale, spinto dalla debolezza a corteggiare persino l’antimafia militante a Palermo, in uno stordito e contegnoso silenzio. Frenetico nella sua camera delle meraviglie, Renzi non ha bisogno di chiedere ad Alfano. Incontrando lunedì Enrico Letta a Palazzo Chigi, ha sì espropriato il prof. Quagliariello delle sue prerogative – “della riforma elettorale mi occupo io” – ma ha soprattutto dato per acquisito, certificandone così anche l’ininfluenza, il sostegno del Nuovo centrodestra a qualsiasi sua escogitazione creativa, l’intendenza seguirà, e se non segue fa lo stesso. “Non sono mica sedici voti alla Camera a fare la differenza”, dicono i renziani, fin troppo spavaldi.

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