Prime time e autobomba. Al Jazeera intervista

il capo di al Qaida in Siria, ecco che cosa ha detto

Per la prima volta il leader del gruppo terrorista parla in un video. La via pragmatica per conquistare i siriani

Ieri il canale al Jazeera ha trasmesso un’intervista di cinquanta minuti con Abu Mohammad al Joulani, il capo di un’organizzazione militare molto forte che si chiama Jabhat al Nusra e combatte in Siria in nome di al Qaida. L’impresa era tecnicamente complessa: al Joulani non era mai apparso in un video prima, è misterioso, ha un’ossessione comprensibile per la sicurezza personale e si copre il volto anche quando incontra i suoi collaboratori. Il giornalista che lo ha intervistato in arabo, Tayseer Allouni, dice di avere dovuto sottostare a misure di sicurezza più severe di quelle che dovette accettare quando intervistò Osama bin Laden nell’ottobre 2001 – un mese solo dopo l’attacco alle Torri. Allouni ha finito l’anno scorso di scontare una pena di sei anni ai domiciliari in Spagna per l’accusa di fiancheggiamento di al Qaida, quindi può vantare a suo modo delle credenziali. L’intervista è sembrata anche un passaggio di testimone: da Bin Laden al giovane al Joulani.

Jabhat al Nusra è un’evoluzione intelligente di al Qaida in Iraq. Se la counterinsurgency americana era “una versione per laureati” della guerra, come diceva il suo massimo esecutore in Iraq, il generale David Petraeus, allora Jabhat al Nusra in Siria è una “versione per laureati” di al Qaida. Il gruppo si sforza di fare campagne di pubbliche relazioni e distribuisce cibo e bombole di gas alla popolazione; evita le esecuzioni in pubblico e le decapitazioni; non viola le chiese nei luoghi conquistati. Inoltre sostiene di avere obiettivi soltanto nazionali, limitati alla guerra in Siria, e ha scelto di insistere molto su questo messaggio: “Siamo qui per aiutare la ribellione contro Assad”, a partire dalla scelta del nome, Jabhat al Nusra, che in arabo vuol dire: “Fronte dell’aiuto” e non ha connotazioni religiose.

Jabhat al Nusra compie attentati suicidi, arruola volontari stranieri, riconosce la sua dipendenza dal capo di al Qaida ed erede di Bin Laden, Ayman al Zawahiri, ed è stato inserita dal governo americano nella lista del terrorismo internazionale. Ricorda però la grande lezione appresa dopo la disfatta in Iraq del 2007-2008: non alienarsi il favore della popolazione, in questo caso dei siriani.

Per questo motivo Jabhat al Nusra tiene a distinguersi dei cugini-rivali dello Stato islamico (Dawlat al Islamiyya), un altro gruppo in rapida espansione in Siria che invece celebra esecuzioni e decapitazioni in pubblico, occupa le chiese e dichiara fin d’ora che la guerra incerta contro Assad è soltanto la tappa numero uno di una campagna di conquista islamica e annuncia le intenzioni fin dal nome: fondare lo Stato dell’islam. L’ideologia, gli uomini e il pantheon di riferimento (Bin Laden, il giordano Al Zarqawi) sono gli stessi per entrambe le organizzazioni, alla fine così somiglianti da essere interscambiabili. “Siamo della stessa famiglia”, dice al Joulani ad al Jazeera.

L’intervista è giocata tutta su questa linea del jihadismo pragmatico. “Jabhat al Nusra non vuole governare la Siria. Ma vuole che la legge islamica governi la Siria”. “Il sentimento generale è ora molto più favorevole all’islam, il paese è cambiato da com’era prima della rivoluzione”. “Le minoranze religiose sono sempre esistite nella storia e saranno trattate secondo il sistema islamico con i loro diritti e i loro doveri”. “Non abbiamo mai ucciso nessuno perché era kafir, infedele. Non sta a noi dichiarare infedele o no qualcuno, non abbiamo questo potere”. Al Joulani sottolinea l’assistenza prestata alla popolazione: “Noi diamo alle gente tre cose necessarie, sicurezza, cibo e assistenza medica. Abbiamo distribuito 800 tonnellate di farina nelle zone liberate, abbiamo anche messo in funzione dei centri di dialisi per i malati”.

Per Joulani la Conferenza di pace di Montreux prevista a gennaio è “soltanto un trucco per resuscitare il regime. Impossibile. Chi parteciperà non parla in nome dei siriani, ha zero autorità in Siria”. Da Tripoli, in Libano, arriva la notizia che l’intervista tv è stata salutata con raffiche di mitra in aria: un leader sunnita che parla di guerra con voce ferma. Il capo è pragmatico, ma ha scivolate rivelatorie sul finale: come quando promette di portare la guerra anche in Libano.

FQ. di Daniele Raineri   –   @DanieleRaineri, 21 dicembre 2013 - ore 06:59

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