D’Alema, la resistenza, Renzi e quella promessa:

 “Vedrete, quello lì lo batterò”

Lui non si rassegna, non ci rinuncia, non si convince, continua a non farsene una ragione, a considerare “quello lì” come se fosse solo un marmocchio di passaggio, e non il futuro, non la modernità, non l’inevitabile evoluzione della sinistra, e crede che prima o poi, come tutti gli altri, quello verrà inghiottito dalle sabbie mobili del partito, e dall’abbraccio mortale dell’apparato. E così lui, cioè Massimo D’Alema, passa parte delle sue giornate a pensare, a ripensarci, a studiare strategie, a immaginare tattiche, a tracciare percorsi e a ripetere – a volte negli uffici romani di ItalianiEuropei, a piazza Farnese, a volte in quelli europei della sua Fondazione dei Progressisti europei, a Bruxelles, rue Montoyer 40, e a volte nelle passeggiate con i compagni dalle parti di piazza Mazzini, a Roma – sempre una frase che molti amici giurano di aver ascoltato più di una volta: “Mi potranno occorrere anche vent’anni ma giuro che prima o poi quello io lo batterò”.

Dunque il re dei rottamati, rottamato non solo da Renzi ma persino da Scalfarotto, non si rassegna, e non si mette né a scrivere romanzi né a girare film, ma rimane lì a combattere, un po’ solitario e un po’ furente, un po’ ferito e un po’ colpito, e pronto comunque, un giorno, a prendere il megafono, a salire sul minareto ad arringare la folla degli anti renziani: e indicare, quando sarà, la via dell’alternativa, della rottamazione dei rottamatori. Quello lì io lo batterò, dice D’Alema, e mentre sussurra questa frase, lo scorpione, con il suo pungiglione, indica sulla cartina gli ostacoli inevitabili che incontrerà la rottamazione. Perché oggi ci sono i capricci di Berlusconi, che chissà quanta linfa potranno succhiare via dal giovane corpo del segretario, domani ci sono le sabbie del Parlamento, che chissà quanta energia potranno far consumare al giovane segretario, dopodomani ci saranno le Europee, e chissà quanto potrebbe pesare un improvviso ko per questo giovane segretario. Chissà.

D’Alema la vive così: osservando con occhio perplesso e sdegnato la marcia trionfale del barbaro fiorentino, del bulletto della Fiesole, senza darsi pace, senza darsi per vinto ma stando attento a non esporsi troppo e a sprecare le sue cartucce. Che non si sa quanto siano ossidate o quanto siano efficienti ma che sono lì, pronte a essere sparate al primo passo falso, e al momento giusto. Senza esagerare, ora, perché il pungiglione segnala non solo gli ostacoli ma anche un altro orizzonte, un altro obiettivo, che riguarda l’Europa e che si traduce con un incarico di poco conto ma a cui D’Alema tiene molto. Che è questo: diventare, nella prossima legislatura, il rappresentante dell’Italia in Commissione europea. Missione possibile, non facile ma possibile, e che non sarebbe condizionata dall’elezione in Parlamento, e che sarebbe una diminutio rispetto ai vecchi sogni di gloria di D’Alema, ma che sarebbe comunque un modo per resistere, per esistere, prepararsi al futuro e scegliere una strada diversa rispetto a quella che tanti nemici gli consigliano e che andrebbe dritta dritta verso la panchina del giardinetto. E dunque D’Alema non si rassegna, pensa e ci ripensa, elabora, sogna, rimanda la pensione, sorride di fronte a Renzi, sorride ancora di più di fronte a Emma Bonino, e combatte la decadenza. Con un problema però mica da poco. Già: ma quante divisioni ha il Papa Rosso del Pd? Poche, pochissime, perché i suoi hanno preso una strada diversa, e per andare nella direzione opposta a quella imboccata dai non amati bersaniani, ovvero per non salire sull’Aventino, si sono ritrovati non distanti da Renzi. A fare l’opposizione, sì, ma ad accettare il compromesso, combattendo il segretario, ok, ma senza fargli sgambetti, e preparandosi così non solo a condividere il percorso ma anche ad incassare qualche posto. I dalemiani, per capire, che per la prima volta nella storia sono meno Dalebani dell’Ayatollah supremo, vogliono trattare, essere della partita, e costruire da dentro la resistenza, non da fuori. Non dal minareto. Lo fanno ancora in modo caotico. Con qualche riunione carbonara. Qualche incontro nella sede di ItalianiEuropei. Qualche convegno a porte chiuse. Con qualche accordo stretto in qualche segreteria regionale. Ma lo fanno pensando che sia una sciocchezza tanto l’idea della scissione quanto la lotta con il segretario.

D’Alema guarda dall’alto, sorride, a volte non approva, a volte dice che con Renzi il Pd è come se non ci fosse più, ma comunque lascia fare. Sogna l’Europa. Sogna lo sgambetto. E sogna il primo errore, il primo inciampo, del segretario. Agli amici dice che se Renzi alle Europee dovesse candidare i rottamati, i vari Bettini e compagnia, lui potrebbe pensare a uno scherzetto, e candidarsi, chessò, anche fuori dal Pd. Ci pensa e ci ripensa, D’Alema. Sogna, un giorno, di arringare di nuovo la folla. Sapendo che le divisioni sono quelle che sono ma che il pungiglione, pur non essendo più quello di un tempo, contiene ancora un po’ di veleno. E dunque oggi si può anche far finta di passare il tempo a vendemmiare ma domani il tempo per salire sul minareto secondo D’Alema ci sarà, eccome se ci sarà. Perché “mi potranno occorrere anche vent’anni ma giuro che prima o poi quello io lo batterò”.

FQ.  di Claudio Cerasa   –   @claudiocerasa, 29 gennaio 2014 - ore 06:59

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