Nella Repubblica Centrafricana. Chi sponsorizza

chi nei massacri a colpi di machete a Bangui

Le forze internazionali, soprattutto francesi, non riescono a fermare le violenze tra milizie cristiane e islamiche

Due giorni fa c’è stata una cerimonia per celebrare la riconciliazione nazionale a Bangui, capitale della Repubblca Centrafricana. Centinaia di soldati in uniforme mimetica hanno ascoltato sull’attenti su un prato il discorso del presidente ad interim Catherine Samba-Panza. Dieci minuti dopo l’uscita di scena del presidente alcuni militari hanno visto tra la folla il volto di un uomo che hanno accusato di appartenere ai ribelli Seleka. Lo hanno circondato, lo hanno picchiato, hanno cacciato i soldati del contingente dell’Unione africana che per poco tempo hanno tentato senza voglia di proteggerlo. Hanno ucciso l’uomo a calci e a colpi di machete sotto gli occhi dei fotografi internazionali, hanno trascinato il corpo per la strada, hanno preso un paio di pneumatici da un negozio e li hanno gettati sul cadavere per appicare un fuoco. Quando i militari francesi della missione Sangaris si sono avvicinati, hanno visto i soldati che si facevano foto ricordo, un uomo reggeva una gamba che poi ha ributtato a consumarsi nel falò.

Se il clima di riconciliazione nazionale è questo, si capisce perché ieri il ministro della Difesa francese, Jean-Yves Le Drian, non ha escluso alla radio di chiedere alle Nazioni Unite il raddoppio del mandato dei soldati francesi, anche se quello corrente che dura sei mesi scadrà a maggio. La sequenza di massacri incrociati fra i due schieramenti che nell’ultimo anno ha fatto decine di migliaia di morti, e tre giorni fa ha fatto titolare a Foreign Policy di “inferno che nessuno vede”, è una violenza a lunga scadenza. La storia dell’ultimo anno in breve è questa. A marzo i ribelli Seleka, in maggioranza islamici, hanno conquistato il paese, hanno instaurato un loro governo e si sono abbandonati a saccheggi e violenze contro la maggioranza cristiana. A settembre è cominciata la reazione delle cosiddette milizie “anti Balaka” – nella lingua locale, il sango, Balaka vuol dire machete: sono le milizie anti machete e indossano strati di amuleti gris-gris per bloccare magicamente le pallottole.

A dicembre gli anti Balaka sono riusciti a cacciare i Seleka dal potere ed è cominciata una serie di rappresaglie e controrappresaglie disordinate che hanno reso ogni città e ogni villaggio il teatro potenziale di un massacro improvviso. C’è stato anche qualche episodio di cannibalismo per sfregio da parte degli animisti contro gli islamici (che però sono stati poco riportati dai media). I militari francesi di Sangaris – è  il nome di una farfalla rossa, qui sopra vedete il logo della missione – dovrebbero fermare le violenze, ma sono 1.600 in un territorio appena meno grande della Francia e per ora sono più che impegnati a preservare la loro incolumità. La Germania si è detta disponibile a partecipare all’operazione, per inaugurare la nuova politica estera muscolare della cancelliera Angela Merkel, ma per adesso  non ha mandato soldati.

L’assetto attuale è stato deciso a Parigi, nella seconda metà di gennaio. Il presidente del Congo, Denis Sassou Nguesso, ha approfittato di una visita nella capitale francese per un incontro in hotel con il ministro della Difesa, Jean-Yves Le Drian e con quello degli Esteri, Laurent Fabius. Il giorno dopo ha avuto un incontro informale all’Eliseo con il presidente francese François Hollande, assieme al suo ambasciatore in Francia, Henri Lopes, e al capo dell’intelligence congolese, il viceammiraglio Jean-Dominique Okemba (che è pure suo nipote). Sono stati tutti d’accordo sulla candidatura a presidente di Samba-Panza, sindaco di Bangui, che sembra sia approvata anche da Washington. Avvocatessa, cristiana, tre figli di cui due in Francia, che si rivolge alle milizie Seleka e anti Balaka chiamandoli “i miei bambini”.

Lo sconfitto

Lo sconfitto in questa decisione è il presidente del vicino Ciad, Idriss Déby, che vede la sua influenza svanire. L’associazione per i diritti umani Human Rights Watch – che sta facendo un gran lavoro di documentazione sul posto – riferisce di aver visto le truppe del Ciad proteggere e scortare le milizie e leader Seleka (gli islamici) nel nord del paese. Il presidente deposto a marzo 2013, François Bozizé, dice senza prove di non essere stato cacciato dai ribelli Seleka, ma dalle forze speciali del Ciad, colpevoli anche di avere massacrato 13 peacekeeper del Sudafrica finiti in mezzo agli scontri.

© - FOGLIO QUOTIDIANO

di Daniele Raineri   –   @DanieleRaineri, 6 febbraio 2014 - ore 21:30

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