Ecco la Milano-Sanremo Amata, odiata, ricercata

respinta. Oggi si corre la Classicissima. 107 anni di storia

da Petit Breton a Ciolek, passando per Girardengo, Coppi e Merckx.

Sarà una sinfonia di ruote veloci, di muscoli potenti, di colori affiancati. Sul Lungomare Italo Calvino la Milano-Sanremo attenderà ancora una volta i velocisti, magari in un gruppetto ridotto, magari alla rincorsa di qualche irriducibile attaccante, ma potrebbe, anzi dovrebbe essere volata. La grande novità che doveva esserci, la salita della Pompeiana tra Cipressa e Poggio, storiche ultime rampe di lancio per i cacciatori di classiche, non ci sarà a causa di una frana che ne ha interrotto la viabilità, quindi tutto rimane così com’è sempre stato, almeno dal 1982.

Edizione numero 105, 107 anni di storia. Anzi 108 se si considerano le anti-origini. Doveva essere una gara podistica in due tappe. Milano-Acqui e Acqui-Sanremo: fu un insuccesso. Si trasformò in una corsa a pedali. Era l'epoca dei pionieri, della bicicletta per le élite che si trasformava in passione popolare, era la novità del calendario italiano. Talmente nuova e talmente strana da ingannare persino il Diavolo Rosso in persona, Giovanni Gerbi, che pur di arrivare ad una parte del corposo premio per il vincitore se ne fregò della storia. Si accordò con Lucien Petit Breton e si appese alla maglia di Gustave Garrigou, il più veloce dei tre, per permettere al compare di vincere e spartirsi il "bottino".

Da allora divenne la Sanremo. Punto. La Classicissima, perché resa mitica dalle gesta dei Campionissimi. Costante Girardengo, il primo a potersi fregiare di questo soprannome, l'amava, sarà perché era di Novi, sarà perché era perfetta per le sue caratteristiche, sarà perché arrivare a braccia alzate sul lungomare di Sanremo ha un fascino particolare. La vinse sei volte e nemmeno il Trombettiere di Cittiglio, al secolo Alfredo Binda, lo riuscì mai a battere. Poi Bartali la fece sua quattro volte. Ma fu un altro Campionissimo a renderla mitica nel 1946 dopo una fuga iniziata sul Turchino e poi conclusa dopo 145 chilometri di fuga solitaria con 14 minuti sul secondo e oltre 24 su Bartali, terzo e nero in volto.

Divenne il Mondiale di Primavera, perché prima grande corsa in calendario, perché proprio per questo ci partecipavano tutti, perché non era impossibile e quindi era aperta ad ogni risultato, a fughe da lontano o arrivi in volata. Perché, come ora, era imprevedibile. Nella città dei fiori hanno vinto Cannibali (Eddy Merckx per 7 volte) ed eterni perdenti (Raymond Poulidor), velocisti come Poblet, Van Steenbergen, Zabel e Cipollini, finisseur e cacciatori di classiche come De Vlaeminck, Saronni, Moser, Bettini e Cancellara, gente da grandi giri come Bobet, Fignon e Chiappucci.

Amata, odiata, ricercata, respinta. Sempre uguale a se stessa. Quest'anno più uguale. Gli organizzatori avevano provato a cambiarla, nel 2008 avevano inserito la salita delle Mànie, respinta e dimenticata, quest'anno ci hanno riprovato con la Pompeiana, cassata dalle frane. Si ritornerà quindi al 2007, al lungo sprint vincente di Freire, anche perché il pericolo smottamento lungo l'Aurelia nei pressi di Spotorno è rientrato. Si ritorna al passato. E va bene così. La Sanremo è cosa antica e agli antichi non piacciono le novità.

© - FOGLIO QUOTIDIA

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