La carica dei nuovi diritti, così le lobby mettono

NEL SACCO IL POPOLO

La portavoce della Manif pour tous, Ludovine de la Rochère, ha spiegato giovedì scorso al Figaro che il suo movimento non presenterà proprie liste alle europee ma che appoggerà i candidati che si impegnino a siglare, come già era avvenuto per le municipali francesi, una carta in difesa della famiglia intesa come “padre-madre-figli”. La rappresentante della Mpt ha detto che “l’offensiva di una lobby gay, minoritaria ma molto organizzata, impone da Bruxelles un gran numero di testi per far avanzare le proprie rivendicazioni. Per molto tempo siamo stati ingenui – ha aggiunto – e la questione dell’omofobia ha paralizzato ogni riflessione sulla complementarietà uomo-donna e sulla filiazione. Ora tocca a noi agire, sempre nel rispetto delle persone, ma senza farci colpevolizzare, affinché le nostre leggi continuino a fondarsi sull’interesse generale”.

Detta in modo sintetico ma efficace, la realtà è quella descritta dalla portavoce della Manif pour tous. Non ci sono rivendicazioni popolari, dietro all’affermarsi di quelli che si definiscono “nuovi diritti”, la cui caratteristica è generalmente quella di ridimensionare i vecchi diritti. Nel processo di “metamorfosi della famiglia”, lobby determinate e ben rappresentate in luoghi chiave, come le grandi istituzioni internazionali (Onu e Unione europea, con i loro addentellati associativo-burocratici), possono fare la differenza. E’ molto istruttivo, leggere del grande e intelligente lavoro di lobby che ha portato il presidente americano Obama a spostarsi, da un’originaria posizione di ostilità al matrimonio tra persone della stesso sesso, all’accoglimento pieno di quella istanza. La storia dell’azione certosina che ha portato al same-sex marriage negli Stati Uniti, la racconta, passo dopo passo, un libro di prossima uscita a firma di Jo Becker, penna sopraffina del giornalismo d’inchiesta americano. In “Forcing the Spring” (Penguin press), del quale l’ultimo magazine del New York Times anticipa un estratto, Becker racconta il ruolo fondamentale avuto da una piccola organizzazione del no profit, la American Foundation for Equal Rights, molto attiva a Hollywood nella raccolta di fondi e di appoggi. La fondò nel 2008 Chad Griffin, oggi quarantunenne e a capo del più grande gruppo di pressione per i diritti gay della nazione, la Human Rights Campaign. E’ lui il vero “eroe” del libro di Becker, che anche la storia di quanto possa influire, più che l’inesistente o addirittura superfluo appoggio delle masse, l’incontro giusto, la mossa spiazzante, il piccolo passo in vista di quello successivo. Nel caso di Griffin, che aveva lavorato giovanissimo da volontario nello staff della campagna elettorale di Bill Clinton, a fare la differenza è stata la campagna elettorale per Obama, durante la quale ha potuto portare dalla propria parte la moglie del presidente. Sempre nell’ambito della raccolta di fondi per Obama, Griffin riuscì a portare il futuro vicepresidente Joe Biden nella casa losangelina di Michael Lombardo, dirigente della catena televisiva Hbo, e del marito Sonny Ward, architetto. Era l’epoca in cui il referendum Proposition 8 aveva ottenuto (con il voto del 52,1 per cento degli aventi diritto), di rendere illegali i matrimoni tra persone dello stesso sesso precedentemente approvati dallo stato della California. Ora sappiamo, grazie a Becker, che sono stati i figli della coppia, “due bellissimi bambini di 5 e 7 anni”, nati da uteri in affitto, a cominciare a convincere Biden della credibilità di quel quadro famigliare. Da lì cominciò il cammino che condusse nel 2011 l’Amministrazione Obama a dichiarare discriminatorio il Defense of Marriage Act, che definiva matrimonio solo quello tra persone di sesso diverso. Da quel momento, il governo federale annunciò che non si sarebbe più attivato in difesa del Doma nelle cause legali che lo riguardavano.

Anche la Gran Bretagna ha definitivamente approvato il suo matrimonio gay, che ha potuto giovarsi del manifesto pubblicitario rappresentato dal cantante Elton John, dal consorte David Furnish e dai due figli nati da uteri in affitto. E da ieri il giudice Paul Coleridge, che faceva parte dell’Alta corte, nella divisione che si occupa di famiglia, e che aveva espresso la sua contrarietà al same-sex marriage, non fa più parte della magistratura. Coleridge parla del gran numero di divorzi inglesi come di una “calamità”, responsabile di molti disastri, e la sua Marriage Foundation vuole sollecitare leggi a favore della famiglia, “a beneficio dei bambini, degli adulti e della società in toto”. Un insieme di prese di posizione che era assai dispiaciuto ai suoi superiori, che lo avevano pubblicamente ripreso dopo alcuni articoli firmati da Coleridge sul Daily Telegraph.

© - FOGLIO QUOTIDIANO di Nicoletta Tiliacos, 19 aprile 2014 - ore 06:59

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