Sfida sinistra. Spiega il Financial Times (per i duri d’orecchie)

che Valls e Renzi sono l’ultima spiaggia gauchiste per cambiare aria

sull’euro. Non prendersela a parole con i ricchi, intercettare ripresa e voto popolare

“Mr Valls e in particolar modo Mr Renzi sono visti, soprattutto dai loro partiti, come l’ultima chance”. Sostiene il Financial Times, in un editoriale firmato ieri da John Lloyd, sullo stato confusionale delle sinistre europee alla vigilia delle elezioni per il Parlamento di Bruxelles. Il quotidiano della City, per il momento, non si arruola tra quanti per esempio contestano l’inclusione della “sobrietà” tra le coperture del decreto Irpef (quel senso di misura che, secondo le slide di Palazzo Chigi, vale 0,9 miliardi quest’anno e addirittura 2 nel 2015). Il Financial Times, come già accaduto sulle nomine delle società partecipate, mantiene piuttosto una linea editoriale di sostegno speranzoso al nuovo corso italiano. Lo stesso vale per il nuovo governo francese di Manuel Valls, che promette di tagliare 50 miliardi di euro di spesa pubblica tra quest’anno e il prossimo, e che in Parlamento potrebbe presto fronteggiare una costituenda fronda nel Partito socialista. Per il quotidiano inglese, infatti, per il momento conta di più il tentativo di ricostituire una mini internazionale blairista. Con la differenza che oggi, rispetto agli anni 90, il problema non è tanto quello di dividere la torta in maniera più efficace (riformando il welfare, per esempio) ma di far lievitare la stessa torta che altrimenti rimarrà schiacciata da deficit e debiti montanti. Il cambiamento della retorica a sinistra, d’altronde, dall’estero deve apparire piuttosto evidente: qualche tempo fa il Wall Street Journal, parlando di “toni reaganiani” dell’ex sindaco di Firenze, osservò che “indicare la sinistra mentre si svolta a destra è una scommessa che è stata usata da più di un riformatore, da Deng Xiaoping a Gerhard Schröder”. Gli effetti pratici si vedranno, ma tra “le tasse sono bellissime” di prodiana memoria e la rivendicazione renziana della “prima volta in cui i soldi si restituiscono anziché prenderli” il passo non è affatto breve.

I nuovi leader italiano e francese, distanti da quelli che perdevano consensi tra i “poveri” anche mentre se la prendevano a parole coi “ricchi”, sarebbero l’unica arma della gauche per intercettare “larghi spezzoni delle classi sociali più basse che vedono il cambiamento sociale come qualcosa di fastidioso”, scrive il Ft. L’unico modo per la sinistra europea – visti i magri risultati delpur nella più grave recessione economica dagli anni 30 a oggi – per non essere costretta allo stesso tavolo demagogico dei “no euro”. Che poi, rispetto ad alcuni mesi fa, lo spazio politico per non limitarsi al dibattito “Ue sì-Ue no” ci sarebbe pure, in teoria: quest’anno l’Eurozona tornerà a crescere di 1,2 punti, ci sono segnali di stabilizzazione anche nella manifattura e in particolare nel settore automotive, il tasso di disoccupazione dovrebbe cominciare a scendere dal record attuale del 12 per cento, e la Banca centrale europea – tra mille impedimenti – si dice pronta a combattere lo spettro della deflazione.

Certo, la calma sui mercati finanziari non esclude che i paesi periferici, quelli con i debiti più elevati tra cui l’Italia, debbano pagare salato il servizio sul debito già esistente. Ma ciò che potrebbe giocare a favore di Renzi in vista del dibattito politico pre-europee, per come la vedono gli osservatori internazionali, l’ha spiegato domenica il ministro dell’Economia Padoan, intervistato dal Corriere della Sera: “Fatto questo (riforme strutturali con annesse coperture, ndr) si può andare in Europa e dire: cerchiamo di essere ragionevoli e avere regole più attente alla crescita e all’occupazione”. Roma ha iniziato a provarci, rinviando il pareggio di bilancio al 2016 dopo aver calendarizzato sgravi fiscali e riforme del mercato del lavoro. L’ultima chance per il Pd, e non solo per lui forse.

© - FOGLIO QUOTIDIANO

di Marco Valerio Lo Prete   –   @marcovaleriolp 22 aprile 2014 - ore 06:59

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