Berlino non ce la fa col salario minimo a 8,50 euro l’ora

sono troppi anche in Germania

Èstata la bandiera dei socialdemocratici in campagna elettorale, un nodo qualificante del contratto di coalizione del Merkel-ter ed è stato puntualmente approvato dal governo nelle settimane scorse. Ma in Germania il salario minimo non ha vita facile. Non è contenta l’industria, che paventa il rischio di far andare migliaia di posti di lavoro in fumo. 

Ma anche una parte del partito di Angela Merkel vorrebbe modificarlo in Parlamento, limitando la platea di lavoratori che avrebbe diritto al “Mindestlohn”: 8,50 euro l’ora da gennaio 2015. La cancelliera ha difeso senza riserve - almeno pubblicamente - la riforma disegnata dalla ministra del Lavoro Andrea Nahles. Ma in questi giorni ha fatto discutere un rapporto che proviene proprio dalla cancelleria e che lancia pesanti accuse agli estensori della legge.

Il “Normenkontrollamt”, una commissione di dieci esperti indipendenti istituita nel 2006 presso il Kanzleramt - c’è anche l’ex presidente dell’istituto di statistica Hahlen - sostiene che nella proposta sul salario minimo formulata dal ministero «il calcolo dei costi è lacunoso» e «mancano le alternative». In sostanza, mentre autorevoli istituti hanno calcolato gli oneri per l’industria, il Diw ad esempio sostiene che potrebbe ammontare a 16 miliardi di euro per i datori di lavoro, il governo avrebbe parlato solo di «costi burocratici», quasi nulli. Poco credibile, sostiene la commissione. Perché, suggerisce dunque, non partire inizialmente da un livello più basso, magari stabilito da un organismo indipendente?

Tito Boeri, notoriamente tra i principali sostenitori in Italia di un salario minimo orario, concorda sul fatto che il salario minimo «andrebbe limitato di più, modulandolo attraverso criteri non manipolabili come l’età». In Germania, con poche eccezioni, gli 8,50 euro all’ora verranno applicati invece dai 18 anni in su. Al contrario, in Olanda o nel Regno Unito, ricorda l’economista della Bocconi, il salario minimo è fissato per chi ha 16 anni al 30% e con ogni anno di età la quota sale, fino a raggiungere il 100% soltanto a 23 anni; un criterio simile viene anche adottato nel Regno Unito. 

Della stessa idea anche Paolo Guerrieri, che ritiene «generoso» anche l’importo generale di 8,50 euro all’ora: «è evidente anche nel confronto con gli altri Paesi», precisa. In Germania quella cifra corrisponde «circa al 60% del salario mediano; una quota simile a quella francese, che è ritenuta, generalmente, troppo alta». Ancora una volta, sostiene l’economista della Sapienza, meglio ispirarsi al Regno Unito, «dove il salario minimo rispecchia circa il 40-45% del salario mediano». 

Entrambi, Boeri e Guerrieri, ritengono gli stessi 8,50 euro una cifra già enorme per la Germania, e «molto, molto difficile da applicare in Italia», sintetizza l’economista milanese, che tuttavia ricorda che «per moltissimi lavoratori già il fatto di guadagnare 5 euro all’ora sarebbe un enorme miglioramento, rispetto ai livelli attuali». E Guerrieri, «contrario a una differenziazione territoriale», sottolinea però che il divario tra Nord e Sud è rilevante, nel nostro Paese, e non si può ignorare nel momento in cui si riflette su un’ipotesi di salario minimo. 

Boeri, inventore del contratto unico, concorda anche con l’idea del Normenkontrollamt tedesco che debba essere una commissione indipendente a stabilire i criteri, non il governo, né le parti sociali. 

«I sindacati tendono in particolare o a rifiutare l’idea del salario minimo per tutti o a stabilire livelli troppo alti: sarebbe importante seguire il modello inglese, dove a decidere è stata una commissione mista, composta per un terzo da esperti indipendenti, un terzo dalle parti sociali e un terzo da membri di nomina politica».

Per il senatore del Pd Guerrieri, infine, con la riforma Nahles la Germania ha dimostrato di voler correggere un grosso difetto del sistema, «cioè il fatto che ormai circa 4-5 milioni di lavoratori in Germania, a partire dai cosiddetti “mini-jobber, sono a rischio sfruttamento; una parte del miracolo tedesco è nascosto lì». E’ ora, quindi, che anche i lavoratori tedeschi si mettano nel portafoglio una piccola porzione di quel miracolo economico che fa volare la Germania.

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