L'industria turistica può rifiorire solo se

 la si toglie dalle mani delle regioni

 di Sergio Luciano. Italia Oggi, 18.7.2014   

Spiace dirlo, ma non è con riformicchie come quella appena annunciata dal ministro del turismo Dario Franceschini che si rimedierà all'obbrobrioso sperpero di potenzialità (e di pil) che due terzi d'Italia perpetrano ai propri danni trascurando l'enorme patrimonio di attrattive turistiche di cui disponiamo. È vero, dal '71 la demenziale istituzione delle regioni ha trasferito la materia dal centro alla periferia, rendendo così ingovernabile da Roma la prima industria del Paese e rimettendola, spesso, ai deliri inconcludenti o intrallazzosi di assessori e sindaci. Ma almeno la denuncia, in questa febbrile temperia riformista di cui s'ammanta Renzi e il suo governo, starebbe bene sulle labbra del governo. Invece, per ora, niente.

Qualche giorno fa sono state rese note le ultime statistiche sull'afflusso di turisti stranieri (quelli veri, che portano dollari, franchi svizzeri, rubli, yuan eccetera). Ebbene: le località che tirano sono sempre, invariabilmente, Roma, Venezia, Milano (!) e Firenze. Tutto il Sud, comprese Capri e Pompei con l'intera Puglia, la Calabria e la Sicilia, non eguaglia in questa classifica la sola Toscana. Uno scempio.

E Franceschini cosa ti fa? Burocrazia. Le due direzioni del ministero (cultura e turismo) dovranno lavorare meglio insieme (tanto giusto quanto ovvio), 17 «poli museali» diventeranno più autonomi (compresa la Reggia di Caserta - teatro delle imprese sportive private del capozona piddino Andrea Cozzolino) e nascerà, proprio per i musei, una terza direzione generale al ministero.

Possiamo star tranquilli (e deprimerci): la sesta riforma in dieci anni del dicastero non produrrà frutti. L'unica strada sarebbe quella di «estirpare» dalle grinfie delle regioni poteri e denari sul turismo, e finalmente varare un piano nazionale di promozione e sviluppo che riporti il Paese al primo o secondo posto tra le mete turistiche del mondo, dov'era stato per quarant'anni. Come? Incentivando fiscalmente il settore – uno dei più zavorrati da un sommerso pezzente che toglie slealmente spazio di mercato alle strutture regolari – ma insieme incrudelendo i controlli, rilanciando e riqualificando la promozione sul web, coordinandola, sorvegliando i livelli di qualità e di prezzo_ e trasformando maestranze svogliate e dissuasive, quelle che allignano oggi, pur con le dovute eccezioni, nella stragrande maggioranza di musei, pinacoteche e parchi archeologici (la vergogna di Pompei insegna) con gente seria che sappia fare, e ami farlo, il suo lavoro. Meritocrazia e qualche licenziamento. Fattibile? Forse no, in questa Camussoland chiamata Italia. Ma certamente non come pensa di fare il governo.

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