Sindacalista (non marziano) dice basta coi veti

“green” al petrolio

di Paolo Pirani | 29 Luglio 2014 ore 13:23

Al direttore - Il non riavvio del cracking a Porto Marghera, con il coinvolgimento di tutti gli stabilimenti dell’area padana (Ferrara, Mantova e Ravenna), la trasformazione in deposito delle raffinerie di Taranto e Livorno, la cessione del ramo d’azienda a Sarroch in Sardegna e i rallentamenti negli investimenti sull’impianto chimico a Priolo, acutizzano l’annuncio del neo ad di Eni, Claudio Descalzi, del blocco degli investimenti, con l’ipotesi di dismissione produttiva, per le raffinerie di Gela, Taranto, Livorno. Insomma, in Italia si concretizza sempre di più il rischio che Eni esca dalla tradizionale attività nei settori della raffinazione e della chimica, concentrandosi in quelle dell’esplorazione, della ricerca e dell’estrazione sul piano internazionale, dove, del resto, si concentra la maggioranza dei profitti e più in generale della dismissione di Eni dal nostro paese. Si tratta di mettere in discussione l’intero impianto strategico della chimica e della raffinazione in Italia che avrebbe pesanti ricadute sull’intero sistema industriale e occupazionale nel nostro paese.

Queste le ragioni alla base delle iniziative di mobilitazione dei lavoratori Eni e del settore della raffinazione, che sono culminate ieri con lo sciopero generale e oggi con un presidio davanti Montecitorio, con la richiesta da parte dei sindacati di un incontro con l’esecutivo circa gli indirizzi futuri di politica industriale e un tavolo permanente sulla raffinazione a 360 gradi. Anche perché il quadro sul futuro della presenza di Eni, in uno scenario in cui l’Italia cerchi di resistere come soggetto che fonda sulla manifattura e sull’industria le sue opportunità, è poco chiaro, come poco chiari appaiono gli indirizzi di politica industriale in generale, con un sospetto ripensamento delle prospettive della chimica e della raffinazione. Appare poco credibile la scelta di Eni di riconversione della raffineria di Gela dopo aver ricevuto le autorizzazioni e più in generale la tendenza di far raffinare il petrolio in giro per il mondo e non nel paese da cui lo si estrae.

Appare, invece, sempre più evidente, che risieda nell’immaginario comune l’idea che la questione energetica sia da demonizzare.

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Persevera un atteggiamento ostile verso lo sfruttamento delle nostre risorse, degli idrocarburi e del gas, e non si considera la possibilità di usare le tecnologie di raffinazione sostenibili, compatibili e soggette a controlli. E sono del tutto ignorate le nuove tecnologie in tema di chimica verde e la ricerca nel settore, mentre il pensiero va al progetto Matrica, in Sardegna.

Insiste l’idea che l’unica strada sia quella delle chiusure delle nostre industrie, quando si potrebbero efficientare le raffinerie, costruendo un margine di guadagno più alto, e i processi produttivi chimici che sono ancora la rappresentazione di una ricerca di grande qualità, utilizzando anche i contratti di sviluppo e negoziando con l’Ue la possibilità di inserire il comparto fra quelli ammissibili alle agevolazioni.

Sarebbe, invece, auspicabile che si iniziasse a pensare a puntare sullo sviluppo dell’industria e sulla manifattura, che l’Italia formulasse un piano di indirizzo politico degli investimenti mirato e realistico e un intervento urgente per la riduzione dei costi della bolletta, come sarebbe auspicabile anche lo sblocco di una serie di autorizzazioni, lo sviluppo delle attività industriali di chimica verde della Val d’Agri, il superamento di veti sulle perforazioni e delle bocciature strumentali.

(Paolo Pirani è segretario generale Uiltec per i settori tessile, chimico ed energia)

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