Il Dio che uccide e la rimozione

E’ tutto così chiaro, e ne restiamo storditi e stupiti

ogni volta

di Giuliano Ferrara | 23 Agosto 2014 ore 06:30

Bisogna dire, perché è vero, che uccidere gli infedeli in nome di Dio, del proprio Dio, è prassi ordinaria nella storia islamica, è comandamento divino dettato al Profeta che in certe fasi e contesti si può eludere esprimendo altre forme di egemonismo religioso, come l’assoggettamento alla dhimmitudine, ma non teologicamente contraddire. Fu grande lo scandalo di Ratisbona, quando un Papa teologo citò, il 12 settembre del 2006, le parole quattrocentesche dell’imperatore bizantino Manuele II Paleologo, a colloquio con un saggio persiano, che imputavano a Maometto di aver introdotto la spada come mezzo di conversione; Benedetto XVI fu isolato, violenze percorsero la umma islamica, l’occidente corse ai ripari, e con esso la stessa chiesa cattolica, promuovendo una campagna falsa, ipocrita, di delegittimazione della verità storica, culturale, di civiltà. Americani ed europei, Marte o Venere che siano i loro idoli, non sono in questo diversi: la grande corrente del correttismo ideologico e politico non può sopportare che la verità sia detta, e le esigenze della diplomazia mondiale, in un’epoca di incandescente conflitto segnato dall’11 settembre 2011 e dalle guerre contro gli stati canaglia dell’Amministrazione Bush e della willing coalition, contribuirono a isolare la parola del Papa, a lasciare che fosse considerata una gaffe, e a voltare la testa dall’altra parte.

Ha ragione Ernesto Galli della Loggia quando scrive, come ieri nel Corriere della Sera, che all’origine della rimozione della natura religiosa e di civiltà dei conflitti contemporanei aperti in tante parti del mondo sta la convinzione secolarista che la religione sia un fatto privato, un credo personale, e che lo spazio pubblico sia informato dai criteri di tolleranza e di illuminata libertà pluralista in fatto di fede, mentre il Dio che si prega è unico e non esistono identità a contrasto in un mondo di “culture” relativizzabili che non sopporta gli assoluti. E’ da anni anche la tesi nostra e di molti occidentali che osservano e commentano, partecipandovi, gli sconvolgimenti rimessi in palcoscenico da Hamas o dal Califfato islamico nascente o dal jihadismo in tutte le sue forme: la ritualizzazione della decapitazione come messaggio di fede e violenza intrecciate sul filo della spada o del coltello non è nuova, ma lo stupore apparente che si coglie nelle reazioni occidentali è sempre come nuovo, sembra che la lezione, la lectio magistralis di un uomo mite e saggio come Ratzinger, sia ancora destinata all’irrilevanza delle cose vere che non si possono dire.

E’ tutto maledettamente chiaro. Israele combatte un nemico che lo odia teologicamente. I cristiani scompaiono da una parte di mondo sotto la sferza di una persecuzione teologica, e con loro se ne vanno altre minoranze religiose da sottomettere, convertire o annientare. Sulla scia della multiculturalità e dell’accoglienza dei flussi migratori, sorgono in occidente le prime avanguardie militarizzate dell’ideologia radicale dell’islam politico, la manifestazione in questo tempo di un osso duro coranico e di un comportamento politico che ha sempre caratterizzato l’avanzata o il riflusso o l’arretramento dei maomettani. I due temi guida del XXI secolo, se non si voglia baloccarsi con i danni antropici al clima inferti dalle emissioni industriali e altre sciocchezze, sono questi: il potere della tecnoscienza nella distruzione transumanista dei criteri di vita e amore, lo scontro di civiltà tra islam e cristianesimo, tra islam e altre religioni non islamiche. Gli argomenti diversivi per non guardare in faccia questa realtà si conoscono. La società aperta non sopporta imposizioni e discipline quali che siano o inibizioni del suo regime di libertà; l’islam è in lotta fratricida, il che è una componente secondaria del tutto, e non esiste un problema di ordine mondiale da definire alla luce di un assoluto religioso concernente il valore della ragione e della vita umana. E’ stupefacente la capacità occidentale di smarrirsi, di rimanere stupefatti e “stupidi” (per  usare l’aggettivo di Torquato Tasso) di fronte a una realtà così chiara e presente, a un pericolo così evidente ed imminente.   

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