Non la faccia di Giggino, ma chi me la fece

sniffare mi spaventa

di Giuliano Ferrara | 28 Settembre 2014 ore 12:30

Come fanno a passarla liscia. Non i Di Pietro o i De Magistris, che sono iconucce warholiane, come scriveva sabato Guido Vitiello, con i loro trattori e le loro bandane. Come fanno a passarla liscia i loro tifosi, sostenitori, bardi, propalatori sulla stampa e in tv. Come fanno a passarla liscia quelli del pubblico, stupidi fra gli stupidi, che non sanno identificare a prima vista un truffaldo, o quelli meno stupidi, che sanno come servirsi del truffaldo nella loro coscienza e nel loro comportamento pubblico. Quelli che hanno dialogato con loro nei tocsciò, li hanno intervistati nei telegiornali, li hanno spacciati come cocaina pura della questione morale e dell’attacco alla casta. Vergognarsi non è un dovere, non sono moralista, ma passarla liscia è molto inelegante.

Nessuno dice o scrive: “A ripensarci, quando lo abbiamo incensato, abbiamo finto di credergli, quando lo abbiamo infilato su per il naso, a scopo di eccitazione, a quei coglioni che ci seguono, siamo stati dei grandissimi stronzi. Intanto perché dovevamo capire quanto fosse corto il gioco della morale moralizzata, il tempo della nemesi doveva venire, più prima che poi. Abbiamo fatto share of voice, audience, ci hanno pagato bene per quelle imprese da trivio, e sono ormai più di vent’anni che si va avanti creando i nuovi mostri di procura, quelli che io a quello lo sfascio, quelli giggini che minacciano sfracelli e hanno in mano zero, e in più violano a quanto pare le leggi che da magistrati dovrebbero custodire. Ma come abbiamo fatto a scamparla, piccole minoranze ci avvertivano del misfatto e ci ammonivano: ma che cosa contano le piccole minoranze? Noi siamo con le grandi maggioranze, noi siamo il contropotere che misura i peccati della politica”.

Bisognava essere deficienti per non leggerlo. Sarà anche un brav’uomo come tutti, ma sulla faccia, e nel linguaggio dei gesti di giggino si leggeva perfettamente la trama che anni prima si poteva leggere negli anacoluti sofferti e compiaciuti del montenerino di bisaccia. Questo come Totò cerca casa. Vuole uscire al più presto dalla magistratura, che gli serve come tribuna e non come luogo della prova e del dibattimento, e entrare in politica: usa la tv e il suo pubblico, indagati e imputati, storie e storiacce, usa le guerre interne alle procure, le spifferate a giornali e telegiornali, con lo scopo unico di precostituirsi la piattaforma per la buonuscita politica e per la politica come buonuscita. Non si può credere che i marpioni che gli tenevano bordone fossero convinti di quello che diceva. “Due locali più servizi, ascensore anche sgommato, un bicchiere di vin rosso e pollo lesso” (Totò cerca casa).

Non voglio introdurre qui la clausola della buona fede, è sempre aspro e anche inelegante. Voglio solo dire che la devono smettere di offrire lezioni professionali di oggettività e di carisma della notizia, sono degli imbonitori, molto più di quanto non lo siamo mai stati noi giornalisti militanti e politici, noi puttane dell’informazione ai tempi di Berlusconi. Ho capito perché dopo l’assoluzione del processo Ruby questi gagà hanno fatto finta di niente, e dopo oceani di sculettanti ovvietà, invece di scendere in piazza e gridare lo scandalo, si sono visti tremebondi sul piccolo schermo a rivendicare le imperfezioni evidenti dell’inchiesta e il suo carattere di episodio minore. Ci hanno fatto i giornali per anni, e quattrini, poi sono fuggiti a gambe levate: questi quaquaraquà.

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