Berlino campione di europoltrone. La Germania ha

piazzato cinque capi di gabinetto e dodici "vice"

nella nuova Commissione Juncker. 17 posti al vertice su 28 portafogli a Bruxelles. L'Italia uno e quattro. La solita storia. E stanno finendo anche i nostri direttori generali...

Forse possiamo salvare la partita nella lunga fase di recupero, quella in cui sarà designato il segretario generale della Commissione Ue e giocheremo – dicono più fonti – con un candidato forte, esperto e titolato per vincere contro l’offensiva dei soliti anglofoni. A tutt’ora è la sola chance che ci resta per dire che il Risiko degli eurofunzionari nei gabinetti del nuovo esecutivo Juncker è andato bene. 

I numeri, ancora suscettibili di variare un poco, suggeriscono che non ce l’abbiamo fatta. E che a furia di parlare male degli eurocrati abbiamo finito per cedere le poltrone a chi se l’è andate a cercare con forza. 

Buoni o cattivi che siano, i posti nell’esecutivo di Bruxelles sono necessari fintanto che sistema l’Ue: servono perché sono quelli intorno a cui gira la macchina. A voler essere diretti, e ammesso che siamo sì europei, è chiaro che più uomini hai e più il tuo paese è in grado di influenzare le scelte dell’Unione. 

L’Italia avrà nel prossimo quinquennio un solo capo di gabinetto, il suo, Stefano Manservisi, funzionario di immensa esperienza richiamato a Bruxelles da Federica Mogherini dalla sede di Ankara che dirigeva dopo essere stato numero uno alla DG Immigrazione e Sviluppo, oltre che capo dei gabinetti di Prodi e Monti. Ottima scelta. Purtroppo l’unico dei nostri arrivato così in alto. 

I tedeschi hanno piazzato cinque capi di gabinetto e dodici vice. I britannici sempre scettici avranno due capi, come gli spagnoli e i finlandesi. Anche la Francia ha un solo vertice. 

Gli italiani “vice” sono quattro: Ricerca, Agricoltura, Welfare, più la squadra del vicepresidente lettone Dombrovskis, coordinatore europeo per l'euro e il dialogo sociale. 

Non appaiano invece nostri connazionali in sezioni chiave della Commissione, come Commercio, Concorrenza, Industria, Trasporti, Politiche Regionali e anche nella squadra del supereconomico Katainen. Non è una buona notizia. 

Ed è peggio quella che arriva dal fronte dei direttori generali. 

Ne abbiamo tre, ora. Uno sta andando via (Buti, Ecfin) e uno sta per uscire per raggiunti limiti di età (Benedetti, Interpreti e traduttori) . Resta Giovanni Kessler, numero uno dell’Olaf, il dipartimento antifrode. Dal primo novembre abbiamo perso Paola Testori Coggi (salute e Consumatori), messa sotto inchiesta per una infrazione in apparenza minima e lasciata in apparenza senza un’adeguata difesa nazionale. 

Si poteva fare meglio, ma il vero guaio è che è la storia di sempre. Bisognerebbe fare di più. Subito.

Abbiamo imparato poco e male dalle nostre mancanze passate. I tedeschi, naturalmente, hanno fatto l’esatto contrario. Hanno coltivato e gestito il loro potere con la consueta veemenza e il solito pragmatismo. Il bello è che nessuno è sorpreso. Nel bene e nel male, da noi e fuori da noi. Chi ha vinto e chi no. 

La Stampa, 31.10.2014

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