L’ARTIGLIO DELLA PALOMBA - L’ITALIA PAGHERÀ

I TERRORISTI PER LIBERARE LE DUE RAGAZZE, FINANZIANDO COSÌ NUOVE STRAGI. MA FU GRAZIE ALLA SOFFERENZA DI VITTIME COME I PIATTELLI CHE SI SCORAGGIARONO I RAPIMENTI

L’Italia è diventata un bersaglio-bancomat per i terroristi islamici, che ora hanno in mano le due ragazze andate in Siria inseguendo sogni e sconsiderate associazioni prive di ogni competenza. 35 anni fa fu rapita Barbara Piattelli, ragazza innocente di una famiglia senza ricchezze nascoste. Un anno di prigionia, dolore e sacrificio indebolirono l’industria dei sequestri...

Barbara Palombelli per "il Foglio"7 GEN 2015 18:22

Trentacinque anni fa, era il 10 gennaio, la mia amica Barbara Piattelli sparì. La sequenza del suo rapimento fu sconvolgente: le nostre famiglie abitavano sullo stesso piano, nello stesso edificio, al quartiere Flaminio di Roma. I nostri garage erano confinanti. Alle 19 e 30, con la sua vespetta, era rientrato mio fratello. Alle 19 e 45 era arrivata mia madre, con la sua mini traveller bianca. Questione di attimi: alle 20, dopo il pomeriggio di lavoro nell’atelier di via delle Convertite, Barbara tornava come sempre con la mamma Vittoria sulla mini verde. Vittoria viene stesa a terra, Barbara imbavagliata e presa. Nessuno, nell’ora classica del rientro, vede.

Oggi, se si cerca la storia negli archivi di internet, le date sono pasticciate e spesso imprecise. Una cosa però è sicura: il suo resta un record, quasi un anno sulle montagne dell’Aspromonte. Fu rilasciata, con un gettone telefonico in mano, il 17 dicembre, lungo una strada della Calabria. Ancora oggi – in tutti noi – è vivo il ricordo della lunghissima festa che seguì al suo ritorno. L’euforia delle nonna Costanza Fornari, il sorriso della mamma Vittoria che tornò a brillare dopo un anno di lacrime, l’amore del fratello Massimiliano, la felicità del fidanzatino Ariel, ora marito amatissimo.

La calma e la forza di Bruno, il padre imprenditore che guidò tutte le trattative – difficilissime e disperate – nei mesi che sembravano non finire mai, finalmente si potevano sciogliere. La memoria è importante, fondamentale. Il sequestro di Barbara fu uno choc per tutta la città. I Piattelli erano e sono una famiglia di artisti, artigiani della moda e della sartoria. Non erano e non sono mai stati una potenza economica nel vero senso della parola: hanno lavorato tutta la vita, con orari impegnativi, pochissime vacanze, nessuna follia, non una barca, non una villa o una stravaganza che potesse far immaginare ricchezze nascoste.

Bruno aveva e ha la passione per il teatro e per la musica: si era impegnato, nei pochi tempi liberi, nel teatro Sistina e aveva collaborato agli spettacoli di Garinei e Giovannini con grande abilità. Il “Ciao Rudy” con Marcello Mastroianni era stato il suo trionfo nella veste inedita di costumista. Perché ricordare quell’episodio è così importante? Perché il volto del nostro paese si mostrò arcigno, duro, inflessibile. Immediatamente dopo la denuncia del rapimento, la magistratura bloccò i beni dei Piattelli e dei loro parenti più stretti.

Non si doveva pagare, non si doveva cedere al ricatto. Gli undici mesi che ci vollero per trovare i fondi, realizzare i contanti e consegnarli ai rapitori, le infinite sofferenze che questo provocò in Barbara e nei suoi cari non smossero di un millimetro la durezza di uno stato che non aveva trattato per Aldo Moro (così si diceva nei giornali dove avevo iniziato a lavorare) figuriamoci se avrebbe trattato per la nostra Barbarina. Ecco, ho rievocato questa storia perché non vorrei mai essere nei panni dei genitori delle ingenue ragazzine che sono andate in Siria inseguendo dei sogni e delle sconsiderate associazioni prive di ogni competenza.

Se lo stato e i servizi segreti pagheranno, finanzieranno morti e attentati, produrranno vittime su vittime, in nome di un preteso spirito caritatevole. Se non pagheranno, la sorte delle due sarà segnata. Nel mondo intero e nell’Italia di una volta – quella che ho voluto ricordare – la cosiddetta patria non cedeva ai ricatti criminali.

E infatti, il sacrificio della mia amica e la sua lunghissima prigionia scoraggiarono l’industria dei sequestri e rallentarono le sue operazioni. Oggi, nell’ambiguità e nella certezza che comunque l’Italia tratterà e alla fine pagherà, siamo diventati un bersaglio-bancomat. Forse, dopo avere rimpatriato i prigionieri italiani sparsi nel mondo, dovremmo dire una parola chiara. Definitiva.

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