Calcio: IL “FARAONE” DI MILANELLO

- ADESSO CHE I DINOSAURI ROSSONERI SONO STATI FINALMENTE PENSIONATI, IL GIOVANE

EL SHAARAWY TROVA SPAZIO NEL MILAN ED ESPLODE (E COSTA UN VENTESIMO DI IBRAHIMOVIC) - INVECE DI FRIGNARE SUL CAMPIONATO ITALIANO ORFANO DI “TOP PLAYER”, BASTA MANDARE QUALCHE OSSERVATORE NEI CAMPETTI DELLE NOSTRE PERIFERIE PER SCOVARE I CAMPIONI…

Paolo Brusorio per "la Stampa" 5,10

«Se Allegri me lo chiedesse sarei disposto anche a fare il terzino»: diffidate della modestia se c'è di mezzo Stephan El Shaarawy, il ragazzo che sta spingendo e sorreggendo il Milan in una delle stagioni più complicate del ciclo berlusconiano. Intendiamoci, a fare il terzino direbbe di sì eccome, un po' per spirito di servizio, molto perchè convinto di riuscirci. Il ragazzo è fatto così: scontato dire che gli piace alzare la cresta, ma quelli come lui non hanno mezze misure.

Primo comandamento: credo in me stesso. Secondo: sempre. Che ci sia davanti un compagno della Primavera, un mammasantissima come Gattuso o un fenomeno come Ibrahimovic, non due nomi a caso visto come è andata nell'ultimo campionato. Loro hanno messo in riga il ragazzino più di una volta: Ibra nel privée dello spogliatoio, Ringhio con un paio di scudisciate verbali che avrebbero marchiato chiunque. Non questo piccolo fenomeno che poteva uscirne a pezzi e invece ha incassato i cazziatoni destinati alle burbe, ma non per questo ha limato carattere e personalità.

Ora che i vecchi se ne sono andati, ora che il Milan sta costruendo il futuro a scapito del passato (modo brutale ma efficace per lanciare finalmente i giovani), il piccolo Faraone ha griffato le (poche) copertine rossonere: cinque gol in otto partite e il battesimo della rete in Champions: mai nessun rossonero ci è riuscito così giovane.

Una corsa in mezzo ai difensori dello Zenit meno reattivi di una scultura dell'Hermitage, certo, ma anche straniti da tanta velocità e spregiudicatezza. Un colpo da genio, l'essenza del calcio: chissà il commento di Alex Ferguson che sul baby ha già messo gli occhi tanto da far dire ad Adriano Galliani la cosa più pericolosa che ci sia: «El Shaarawy è un capitale del Milan, non lo venderemo mai». Preso tutti nota e messo la frase nel cassetto, con i tempi che corrono conservarla potrebbe tornare utile.

Una giocata da fenomeno, quella visto sul prato del Petrovskiy Stadion, che ha lasciato tutti a bocca aperta. Escluso Luca Chiappino, che ha allenato El Sharaawy per tre anni nella Primavera del Genoa: «Niente che non gli avessi già visto fare quando era ancora più giovane». Giocava nel Legino, vicino a Spotorno, il figlio del dentista egiziano quando finì sul taccuino di Michele Sbravati, allora al Savona, e ora responsabile del settore giovanile rossoblu.

«Il Genoa mi assunse il 4 agosto del 2003, il 5 acquistammo El Shaarawy, fu il primo arrivo nella scuola calcio di Preziosi. Fino a 13-14 anni pensavamo che sarebbe diventato un giocatore, da quell'età eravamo certi di avere per le mani un campione. Tecnica abbinata alla velocità, un binomio che fa la differenza. Basta vedere il gol con lo Zenit».

Da esordiente giocava con i giovanissimi, è sempre stato un giro avanti con Perin, il portiere del Pescara. Quel cognome esotico non si è mai rivelato un ostacolo a livello giovanile, tra ragazzi non si fa mica caso a certi dettagli, ma per paradosso lo è diventato quando si sono accesi i riflettori. Ancora i tecnici rossoblu: «L'abbiamo segnalato alle nazionali Under 15 e Under 16, ma nessuno si faceva mai vivo. Poi abbiamo scoperto il perché, credevano fosse straniero».

Un problema che Cesare Prandelli non ha avuto, il Faraone ha vestito la maglia azzurra a Berna nell'amichevole estiva con l'Inghilterra ed è possibile che il ct lo richiami ora per il doppio appuntamento con Armenia e Danimarca. Sfrontato, fumettoso con quei capelli tirati all'insù che fanno tendenza tra i teenager, El Shaarawy è un capitale da non disperdere. L'altra faccia di Balotelli

Sì, per il comportamento fuori dal campo. Non per le qualità: non è più forte, è solo diverso. Per Arrigo Sacchi «è molto migliorato, ma per diventare un protagonista del nostro calcio non deve perdere la capacità di comunicare con il resto della squadra». Nel gol di San Pietroburgo c'è poca comunicazione, vero, ma quasi nessuno se n'è accorto.

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