Ma quanto sono alle vongole i censori dell’usurpazione al potere

Il gioco della caccia all’ursurpatore è durato vent’anni, ha danneggiato stile e responsabilità come elementi di una vita pubblica appena seria, ma soprattutto ha rivelato, ce ne fosse o no bisogno, l’estraneità dei dotti, ridotti a V.I.P. del panorama ideologico, alla ordinaria cultura politica di una democrazia liberale

di Giuliano Ferrara | 19 Giugno 2016 ore 06:00 Foglio

Un intellettuale di passaggio, tra i più queruli sputasentenze che ora vanno per la maggiore, ha definito il boy scout che ci governa un “usurpatore”. Fantasia zero. Il termine era stato impiegato con baldanza per attaccare Berlusconi, anche lui considerato un outsider pericoloso. Il gioco della caccia all’ursurpatore è durato vent’anni, ha danneggiato stile e responsabilità come elementi di una vita pubblica appena seria, ma soprattutto ha rivelato, ce ne fosse o no bisogno, l’estraneità dei dotti, ridotti a V.I.P. del panorama ideologico, alla ordinaria cultura politica di una democrazia liberale. Renzi può essere criticato, spesso merita le critiche più aspre, per una serie di motivi lunga all’elencazione, e l’opposizione che qui nominammo “estetica” al renzismo ha tutto lo spazio che vuole nella testa delle persone che ragionano, figuriamoci; ma quella dell’usurpatore, la scelta del termine sospetto, per non chiamarlo abusivamente concetto, è la dimostrazione di un istinto proprietario sulla società e le istituzioni per il quale la classe dirigente intellettuale, la sottoclasse discutidora degli esperti, non ha alcun titolo se non la sua boria, vanità e velleità.

Che cosa voleva dire il pisano di formazione e dunque vituperoso professor Montanari, parlando dell’usurpatore? Voleva dire che se uno strappa la carica di sindaco di Firenze all’apparato dalemiano (altro pisano vituperoso), poi la usa per coltivare un’ambizione nazionale, poi si candida secondo le regole e perde, poi si ricandida visto il fallimento dell’establishment e vince, dunque alla fine fa il presidente del Consiglio al posto di un beneficiato (altro vituperoso pisano) e cocco della nomenclatura, costui usurpa qualcosa di importante: usurpa il luogo deputato d’esercizio della capacità battesimale dei media, delle accademie, dei compilatori di expertises su tutto e su tutti, si mette provvisoriamente ma abusivamente in un posto di guida nazionale dal quale prima o poi si ritirerà o verrà sloggiato attraverso il rischioso esercizio della democrazia politica rappresentativa. Una forma della politica che va bene finché è sotto tutela, e diventa usurpazione non appena qualcuno che non sia del cerchio degli intimi si fa avanti e vince la puntata.

Bisogna sempre guardare anche al cortile di casa per capire la logica invidiosa e sterile dei boriosissimi dotti. La loro testimonianza ambisce all’universale del cielo delle idee. Ma ce l’hanno sempre in particolare con il ministro pro tempore dei Beni e delle Attività culturali, comunque si chiami, da dovunque provenga. Quello del governo Renzi mette avvisi sull’Economist per trovare personale qualificato e fuori delle solite cordate, come ha fatto per parecchi musei e parchi archeologici con scelte europee e non italiane, il che gli è costato la rabbia e l’opposizione dei Montanari e dei Settis e di tutti coloro che alla fine, grillinescamente,  rivendicano il paese della cuginanza con l’aria di lavorare per la estrema competenza disinteressata. Poi vorremmo sapere come mai non va bene nessuno. Non va bene il professore della Cattolica di Milano, persona rigorosa e stimata e riservata, messo lì da Monti; non va bene l’avventuroso poeta del berlusconismo, al quale viene rimproverata la lava di Pompei fino a provocargli una forte crisi di rigetto nevrotico della politica; la persecuzione morale riguarda uomini e donne (caso Melandri) del sud e del nord, e si estende a tutte le scelte comunque argomentate e motivate, giuste e sbagliate ma sempre fatte di abuso, dei ministri della Cultura. Ma non sarà che il finto borghese colto e autorevole, il vituperoso censore che dà per perduto a ogni giro di ministero il patrimonio culturale più importante del mondo, il quale per fortuna è sempre lì a fare bella mostra di sé e gode di sovrintendenti che i sindacati denunciano per eccesso di lavoro, non sarà che tutta questa presunzione, tutto questo spirito judgemental alla fine deriva da questioncelle di potere, di prestigio, di gelosie da Italia davvero alle vongole con il sugo che macchia la camicia?

Categoria Italia

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