La sinistra antagonista in Italia c'è già. D'Alema non aggiunge

1-Non sarà il congresso, che Renzi vincerà a mani basse, a dare un responso sulla tenuta del Pd, ma le elezioni amministrative di primavera 2- La minoranza Pd è chiusa in una sacca

 di Sergio Soave e Marco Bertoncini Italia Oggi 15.2.2017

1-La direzione del Partito democratico ha avviato la fase congressuale lasciando aperta la questione della data del voto e della nuova legge elettorale, che ne è la premessa necessaria. L'opposizione interna, che è fermissimamente decisa a difendere il governo fotocopia di Paolo Gentiloni, non ha ottenuto la garanzia della sua durata fino a scadenza naturale e, su questo, sembra orientata a uno strappo che non si sa se seguirà o precederà il congresso.

Se si guarda al di là delle dichiarazioni tribunizie, si può osservare che Matteo Renzi ha ottenuto tutto quello che gli interessa davvero: una conta per riaffermare la sua leadership e uno smarcamento sulla questione dell'anticipo del voto, che in realtà non gli conviene. Se però si fosse messo a spiegare che serviva una fase di decantazione dopo la sconfitta referendaria, sarebbe stato massacrato dalla campagna per il voto subito.

Chiedendolo anche lui, invece, ha fatto funzionare la tattica della tela di Penelope sulla legge elettorale e così ha guadagnato il tempo e lo spazio per fare i conti all'interno del Pd. Se fosse tutto «previsto e calcolato», oppure se sia stata proprio la tattica della minoranza a metterlo in questa situazione vantaggiosa, non è dato sapere e, in realtà, non conta poi molto.

Anche la possibile scissione non è particolarmente preoccupante: ci sono due prospettive divergenti, chiaramente espresse dal sostegno renziano al candidato alle presidenziali francesi che ha abbandonato il Ps, contrapposto al sostegno della sinistra del Pd a quello ufficiale del Ps che ha scelto un'impostazione di estrema sinistra lontana da quella del presidente Hollande.

Una sinistra antagonista in Italia c'è già (come esiste da sempre in Francia dove ha un'impostazione addirittura trotzkysta), se a essa si aggiunge l'apporto di Massimo D'Alema non cambia un granché, anche perché quel fronte è già spaccato, per effetto dell'iniziativa filorenziana di Giuliano Pisapia, che ha già attirato una parte assai consistente dei parlamentari eletti nelle liste di estrema sinistra.

Non sarà il congresso, che Renzi vincerà a mani basse, a dare un responso sulla tenuta del Pd, ma le elezioni amministrative di primavera. Se il Pd perderà a Genova e a Palermo, le prospettive per il voto nazionale si faranno più fosche. Intanto il responso del voto francese dirà se esiste ancora un'Europa su cui discutere, il che permetterà di definire programmi politici più realistici. La vittoria interna di Renzi, per ampia che sia, non risolverà automaticamente il problema di una sinistra impantanata, ma almeno la manterrà competitiva, il che, per ora, non si può dire del centrodestra.

2- La minoranza Pd è chiusa in una sacca

 di Marco Bertoncini

Le minoranze del Pd sono in difficoltà. Per cominciare, si esprimono al plurale: non sono la minoranza o una minoranza, bensì un grumo di correnti, fondazioni, movimenti, partitini, a volte locali, talaltra nazionali, ciascuno col proprio capobastone. Ricordano, per più aspetti, la Dc frantumata. Poi, hanno perso l'ultimo congresso, il che le ha costrette da anni a lasciare il Pd nelle mani di Matteo Renzi (a sua volta, però, sorvegliato dalle scalpitanti componenti di una maggioranza composita). Si sono comportate come se fossero in congresso permanente, al punto che appare perfino grottesco il loro opporsi allo svolgimento ufficiale delle nuove assise.

Manca loro un coagulatore, un capo, un nome unico da contrapporre al segretario in carica. Già l'affollarsi di Michele Emiliano, Roberto Speranza ed Enrico Rossi non è di buon auspicio. In effetti, da un po' si parla di Andrea Orlando, nome che presenta alcuni vantaggi, dalla quasi investitura di Giorgio Napolitano e di Ugo Sposetti (personaggio fondamentale, quando si parla di patrimonio e di finanziamenti), alla militanza nella maggioranza renziana; almeno, fino a ieri. Ovviamente, senza un nome unificante dotato di qualche reale possibilità di vittoria il destino delle minoranze resta la sconfitta. Ne sono persuase, sennò non parlerebbero tanto di scissione.

In prospettiva, perderebbero l'unico, vero vantaggio di cui oggi godono: la loro sovrarappresentanza nei gruppi parlamentari. I cento capilista saranno scelti da Renzi, senza omaggi ai propri eterni contestatori. Anche per questo vorrebbero rinviare il congresso: servirebbe loro rifare prima la legge elettorale, così da cancellare i capilista bloccati, unico punto che stia loro a cuore.

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