Bersani: per stare assieme si tagli la gola al Boyscout,

 si smantelli il Jobs act e si mandi tutto il Giglio magico in esilio a Hammamet

 di Diego Gabutti 21.11.2017 da www.italiaoggi.it

Tra le altre colpe, ma peggio della metafora sulla bambola da pettinare, e soltanto un po' meglio dello streaming con i cacciatori di zombie al servizio dello psicoblogger, Pier Luigi Bersani s'è reso colpevole (maxima culpa) anche di leso padre nobile. Sprezzante, fiero dei sondaggi che danno la Ditta intorno al 3% e l'intera sinistra rifondatrice sotto il 6%, Bersani ha contestato l'autorità di Romano Prodi mostrandosi «insensibile» alle parole del fondatore del partito democratico. A dirlo è Andrea Orlando, ministro della giustizia del governo Gentiloni e democratico dell'ala riottosa. Benedicente, ecumenico, Monsignor Prodi ha detto: «Alleatevi, figlioli». E Bersani, l'infame, ha sorriso.

Già questo sarebbe grave. Roba da recitare Paternoster e Ave Gloria ad infinitum. Ma Bersani non ha sorriso soltanto di Prodi e del suo invito all'unità di tutte le sinistre, dai revisionisti fiorentini a quelli che un tempo (quando l'Urss aveva ancora fiato per lanciare l'Armata rossa alla conquista di nuovi popoli da convertire alla religione leninista) venivano chiamati «kabulisti». Bersani ha sorriso anche di Piero Fassino, inviato dell'usurpatore (vai col latino) in terra infidelium, e persino di Walter Veltroni, romanziere progressista e regista tra i più democratici, l'uno e l'altro cofondatori del Pd. Anche Veltroni e Fassino, i due chierichetti post comunisti che nel 2007 servirono messa quando Padre Romano celebrò il rito di fondazione del partito, sono per l'unità delle sinistre, da Pippo Civati e Nicola Fratoianni a Maria Elena Boschi. Ma lui, Bersani, l'uomo della «non vittoria» e del giaguaro da smacchiare, da quest'orecchio non ci sente.

Sorride, l'infame, e ai gazzettieri che «gli stanno addosso» (è così che funziona il giornalismo gabibbo di Non è l'Arena e delle Iene) implorando dichiarazioni, meglio se trompe-l'oeil, spiega che «Uniti si perde. Alla grande». («Alla grande» è il suo «diciamo»). Per tornare in campo tutt'insieme, spiega ancora Bersani, c'è solo da seguire il seguente protocollo: tagliare la gola al Boyscout, smantellare il Jobs act e mandare l'intero Giglio magico in esilio a Hammamet, come a suo tempo il Rinnegato Craxi.

Si sapeva, naturalmente, che Massimo D'Alema, con quel suo sguardo gelido da eroico cekista dei film di spionaggio d'epoca staliniana, non ha pietà né rispetto di nessuno. Ma Bersani sembrava più umano: lambrusco, piadine, mucche in corridoio e tacchini sul tetto, più Esopo che Lenin. E invece anche lui, buono e bravo ma non fesso, ha perso la pazienza. Basta, è deciso: nessun inguacchio tra il diavolo e l'acquasanta, tra «i sempre più poveri» e «i sempre più ricchi». Prodi non è d'accordo? Non sono d'accordo nemmeno Veltroni e Fassino? Be', s'uniscano loro con l'usurpatore di Pontassieve sull'Arno, che con la sua grandissima faccia da schiaffi ha allontanato dal partito gli elettori di sangue proletario, consegnandoli all'antipartito di Beppe Grillo. Che a dispetto delle sue mattane rimane una costola della rivoluzione socialista, one of us, uno di noi, come diceva Joseph Conrad dei suoi marinai; e come Bersani non mancherà di dimostrare, dopo le elezioni, superata (e non sarà facile) la soglia di sbarramento, in un prossimo streaming (e col quale finora si congratula per la vittoria delle mezze pippe a Ostia). Prodi e i suoi prevosti vogliono che ci uniamo con la destra berlusconiana che (toma toma, cacchia cacchia) s'è infiltrata nei ranghi del gran partito dei lavorator? Be', lasciateci sorridere. Correremo da soli.

Forse è soltanto tattica, come si dice, per alzare il prezzo d'un accordo ineluttabile. Forse alla fine, come ha scritto sul Messaggero il sociologo Luca Ricolfi, partito renziano e «Sinistra Purosangue» (malata, scrive sempre Ricolfi, di «nostalgia, nostalgia, nostalgia») troveranno il modo di presentarsi prodianamente «uniti» alle urne. Ma sarà un'«unità», nel caso, che scontenterà tutti, sia i riformisti che i radicali; questi perché non avranno indietro il vecchio Pci della «questione morale», dei «partiti fratelli» e delle «riforme di struttura»; quelli perché l'alleanza con la Ditta annacquerà il progetto renziano di restyling della sinistra. Quindi Andrea Orlando, che si mostra scandalizzato perché l'infame Bersani ha sorriso dell'invito a ricicciare l'Ulivo avanzato da Prodi, Veltroni e Fassino, dovrebbe preoccuparsi piuttosto di chi sta sorridendo davvero: Papi, il Caimano di Arcore, tornato alla testa del partito vincente.

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