E dire che questo Paese di elezioni sull'orlo del burrone ne ha già celebrate tante

Manca l'interesse per la politica. Leader sempre meno convincenti e sempre più afflosciati

 di Domenico Cacopardo 28.11.2017 www.italiaoggi.it

A partire da quelle dell'aprile 1948, nelle quali il Fronte del Popolo (simbolo Garibaldi) marciava al ritmo tambureggiante di una lotta contro il capitalismo e l'Occidente che sembrava vicina al successo. Fu lì che un pezzo d'Italia, all'apparenza minoritaria, quella annidata nelle parrocchie, luoghi di resistenza antifascista e di pensiero militante, e sostenuta dalla Chiesa di Pio XII scese in campo con i comitati civici diretti da Luigi Gedda.

Operando sull'apporto volontario di migliaia di attivisti riuscì a invertire la tendenza e a impedire che i cavalli dell'Armata rossa si abbeverassero alle fontane di Piazza San Pietro.

E poi tante altre. Va ricordato il '94, quando Achille Occhetto con la flebile complicità di una parte degli eredi dell'antica Democrazia cristiana, i Martinazzoli, i Prodi, gli stessi Mattarella, stava marciando su Piazza Colonna alla testa di una sua gioiosa macchina da guerra, pronto a trasformarsi da sconfitto della storia, anzi della Storia, e della guerra fredda in incredibile vincitore della stessa.

L'ennesimo paradosso italiano: sempre indietro e sempre diversi dal corso degli eventi in Europa e nel mondo.

Ci volle un industriale senza alcuna esperienza politica, Silvio Berlusconi da Arcore che, per tutelare se stesso e le sue esigenze imprenditoriali, oltre che per difendersi dalla minaccia reale proveniente dagli ambienti giudiziari milanesi, scendesse in campo, schierando, invece che una macchina da guerra, una capillare e collaudata organizzazione pubblicitaria.

Mentre i ben pensanti e i sopracciò corrugavano le fronti di fronte all'outsider scaligero, questi, forte di uno slogan semplice ed efficace «Rivoluzione liberale» (da attribuire soprattutto, ma non soltanto al prof. Lucio Colletti) riusciva a battere la gioiosa macchina da guerra e a portare al governo una coalizione di centro-destra. Effetto, questo risultato elettorale, anche dell'insipienza dei partiti tradizionali (affetti da sindrome di Stoccolma) che avevano introdotto in Italia un sistema semimaggioritario che determinò il successivo bipolarismo.

Ci volle un'azione paragolpista del Quirinale che, alla crisi di dicembre 1994 del governo di centro-destra non fece seguire come correttezza imponeva elezioni generali, ma un governo massonico-Opus Dei, per impedire che il bipolarismo conseguisse tutti i suoi positivi effetti. Oggi, alla vigilia di elezioni generali siamo di nuovo all'«Ecce Homo»: e non solo perché non si manifestano leadership attendibili, quanto perché manca un quadro di riferimento e di proposte intorno alle quali conseguire il consenso.

Il ring è occupato, in sostanza, da quattro persone: Berlusconi, Salvini, Renzi e Di Maio. Il primo è, all'evidenza, in deficit di disegno.

Propone, infatti, per il futuro, un governo Gallitelli, chiamando in causa un generale, valoroso certo, ma dalle esperienze politiche pari a zero (e sconosciuto al grande pubblico). Salvini propone se medesimo, ma porta il peso di una forza politica, la sua, nonostante tutto, marginale, ben al di sotto di un peso identificabile in parte del Nord, del Centro, del Sud e delle isole. Di Maio è la sublimazione del vuoto pneumatico grillino, del nihilismo assurto a proposta politica e, oggi, in una sorta di bagno di perbenismo borghese pasticcia ancora di più di ieri, dimostrando ancora una volta, se ce ne fosse bisogno, la natura reazionaria del movimento che rappresenta, la sua lontananza dal dibattito europeo.

Quanto a Renzi, sembra un cavallo sfiatato per la lunghezza della corsa. La medesima Leopolda dei giorni scorsi, più che una kermesse riformista, è sembrata un espediente pre-elettorale sostitutivo dei luoghi di dibattito del partito che dirige. Insomma, per avere un coro uniforme e accordato, ha discusso «in sede domestica» , evitando così di dare fiato ai critici e agli oppositori interni.

La sensazione è che l'effetto sull'elettorato di una cosa del genere sia pari a zero e che il giovane politico fiorentino sia affetto da mancanza di idee, che abbia perso ogni carica innovativa, ripetendo in forma stanca riti del passato che nulla possono smuovere sul piano della mobilitazione del personale politico.

Quanto ai programmi, è meglio stendere un velo pietoso sui messaggi demagogici, stile Lauro, in cui si esibiscono tutti e quattro i personaggi alla ribalta. Certo è presto. Ma se questa è l'alba, la giornata elettorale, campagna e urne, si presenta in modo sconfortante per l'Italia.

Al posto di Pio XII e di Gedda, abbiamo Francesco e il suo confuso Nunzio Galatino. Al posto del Berlusconi pimpante e, a suo modo, rivoluzionario del '94, abbiamo il Berlusconi stanco '17.Insomma, mancano i presupposti per il ritorno all'interesse politico (e al voto) degli italiani.

di Domenico Cacopardo www.cacopardo.it

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