Si sono pagati gli errori del Pd

E di una grande borghesia che oggi si interessa d'altro

di Domenico Cacopardo 6.6.2018 www.italiaoggi.it

«La politica è una scienza esatta», dichiarò ai suoi più vicini collaboratori Antonio Salandra, prima delle elezioni del 1924, nella quali lui, vecchio liberale conservatore, venne eletto nelle liste di Benito Mussolini. Lo si può ben dire oggi, dopo le sconfitte, le mezze vittorie e le vittorie che le elezioni del 4 marzo fanno registrare alle forze politiche italiane. Accanto a questo entimema (un grado inferiore all'aforisma) va ricordato che la storia ci insegna che il popolo non sempre ha ragione.

La sconfitta avvolge nelle sue spire mortali il Pd e, con esso, Matteo Renzi. Un effetto, questo, di alcuni fattori personali (ormai è evidente che le «performance» del leader lo hanno reso – a torto o a ragione poco importa – indigeribile alla stragrande maggioranza degli italiani) e del partito, di un'azione di governo (di Renzi) casuale, incapace di trasformare in norme efficaci le idee riformiste concordate con l'Europa e con il presidente della repubblica (Giorgio Napolitano), di una stolta pervicacia nel perseguire vie sbagliate, ponendosi in concorrenza con i 5Stelle. Effetto correlato alla fine del sistema comunista italiano (con la congregazione di associazioni di sostegno, a partire dalla Cgil), che aveva cercato la propria perpetuatio nell'accordo anomalo di potere con la sinistra democristiana (quella che benevolmente si definiva «economica» per la propensione a insani rapporti con l'industria pubblica e, talora, privata) chiamato Pd.

Oggi, con la fine della Seconda repubblica, rivendicata da Giggino 'o cazzaro, leader (?) grillino, finisce l'onda lunga del potere democristiano (nel ludibrio di candidature improbabili, di soggetti compromessi nel vecchio e nel nuovo sistema, capaci, capacissimi, capaci di tutto, o di imbecilli politici, di cui non farebbe conto di scrivere i nomi se non fossero stati elevati da Renzi all'empireo del partito) e di quello post comunista. Se c'è una strada riformista per il futuro, essa passa dalle dimissioni di Renzi, dalla costituzione di un organo collegiale e dall'indizione di un congresso fondativo di un nuovo partito, con un mix di collaudati leader e di giovani interpreti della realtà contemporanea.

Sconfitti transfughi di LeU: pagano l'errore storico di non avere perseguito la loro battaglia nel Pd, realizzando una diaspora alla Tafazzi. Ed è inutile accusare di ciò che è accaduto la grande stampa che ha fatto l'occhiolino agli sgrammaticati parvenu affacciatisi alla ribalta. Le prime e indiscutibili responsabilità ricadono sui dirigenti del Pd (a partire da Pier Luigi Bersani, valorizzatore di nullità politiche come Laura Boldrini e Pietro Grasso, per non dire dell'invenzione di Fassina e di Civati). Chi ha disertato, invece, è la grande borghesia italiana che, probabilmente, non c'è più, sommersa com'è da una totale disaffezione al Paese e immersa, quella migliore, in una realtà internazionalizzata (l'Europa) che avrebbe dovuto difendere con le unghie e con i denti invece di sventolare la bandiera bianca che peserà sul futuro immediato e non come un simbolo di vigliaccheria.

Vincono i 5Stelle. Vincono con i metodi di Vanna Marchi e di Joseph Goebbels, accettati da una cittadinanza delusa delle proprie pecche (l'incapacità soprattutto al Sud del cappotto grillino di sintonizzarsi con la realtà mondiale che postula competitività e produttività), catturata dal miraggio di sussidi (il reddito di cittadinanza come sarà dato, nelle zone ad alto tasso di lavoro nero?) e di una pulizia non praticata nemmeno ai loro vertici (e il ruolo economico di Beppe Grillo e Davide Casaleggio è lì a testimoniarlo). Vincono, martellando con bugie colossasi il web e i media. Trasformandoli in verità per coloro che potevano abboccare e hanno acriticamente abboccato.

Forse, l'Italia dovrebbe affrontare la contingenza drammatica con una terapia omeopatica: mandandoli al governo in modo da sputtanarli di fronte all'elettorato e all'Europa. Un'ipotesi azzardata, visto che il sistema grillino porta con sé un pericolo mortale per la democrazia: l'impostura democratica del web e la propensione a criminalizzare gli avversari. C'è un elemento di ricorso storico in questa gente ed è la riproposizione, in condizione mutate, ma simili, della scalata di Hitler al potere, avvenuta in forma definitiva il 5 marzo del 1933. Perciò, dare il governo ai grillini è un rischio per la democrazia, come un rischio per la democrazia è ripetere le elezioni tra qualche mese. Una Nazione scontenta e sbandata potrebbe dare loro la maggioranza assoluta permettendo a essi di smantellare il sistema delle garanzie costituzionali.

In fondo abbiamo lasciato il centro-destra: qui perde Berlusconi per tanti motivi, il primo dei quali è l'età. Ha infatti lasciato per strada quell'inventiva geniale che l'aveva fatto stare sull'onda degli avvenimenti, trasformando la propaganda in popolarità. Vince Salvini e dimostra come il tema dell'immigrazione, sottovalutato a sinistra, era una carta vincente. Una condanna per l'autolesionistica (per l'Italia) gestione Renzi-Alfano e per i predicatori e speculatori che sono vissuti sul e del fenomeno migratorio. Fra le tante cose confuse che emergono dai dati del 4 marzo, ci sono chiari e tondi alcuni no. Di essi tutti dovranno rendersi conto.

Nei prossimi giorni, con la distribuzione dei seggi, si capirà meglio quali strade si aprono nella legislatura: un 1948 all'incontrario, nel quale hanno vinto gli amici dei cosacchi.

www.cacopardo.it

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