Consulta, il "popolo Veneto" non esiste e non è una minoranza

La Corte costituzionale boccia il governatore Zaia e dichiara l'illegittimità costituzionale della legge della Regione Veneto 13 dicembre 2016, n. 28 affermando che «non è consentito al legislatore regionale configurare o rappresentare la “propria” comunità in quanto tale come “minoranza”»

di Roberto Miliacca, 20.4.2018 www.italiaoggi

Non c'è nessun “popolo veneto”, né tantomeno nessuna “minoranza nazionale” da tutelare, in Veneto. Siamo tutti italiani. La Corte costituzionale ha così bocciato il governatore Luca Zaia, dichiarando l'illegittimità costituzionale della legge della Regione Veneto 13 dicembre 2016, n. 28 (Applicazione della convenzione quadro per la protezione delle minoranze nazionali), da lui voluta, affermando che «non è consentito al legislatore regionale configurare o rappresentare la “propria” comunità in quanto tale come “minoranza”, «essendo del tutto evidente che, in linea generale, all’articolazione politico-amministrativa dei diversi enti territoriali all’interno di una medesima più vasta, e composita, compagine istituzionale non possa reputarsi automaticamente corrispondente – né, in senso specifico, analogamente rilevante – una ripartizione del “popolo”, inteso nel senso di comunità “generale”, in improbabili sue “frazioni”». La legge regionale 28/2016, quindi, nel qualificare il «popolo veneto» come “minoranza nazionale” ai sensi della citata convenzione-quadro, «contrasta con i principi sviluppati nella giurisprudenza di questa Corte in materia». Il Veneto guidato da Luca Zaia, con la normativa regionale varata in concomitanza con il referendum sull'autonomia della regione Veneto, non avrebbe quindi potuto qualificare, come ha invece fatto, il «popolo veneto» «come “minoranza nazionale” degna di tutela ai sensi della convenzione-quadro e impegna le amministrazioni centrali e periferiche a rendere effettiva tale tutela; essa prevede, inoltre, l’istituzione di un nuovo ente regionale incaricato di raccogliere e valutare le dichiarazioni individuali di appartenenza a tale minoranza». Inoltre, spiega la Corte, «i principi contenuti negli artt. 2, 3, e 6 della Costituzione si rivolgono sempre alla “Repubblica” nel suo insieme e pertanto impegnano tutte le sue componenti – istituzionali e sociali, centrali e periferiche – nell’opera di promozione del pluralismo, dell’eguaglianza e, specificamente, della tutela delle minoranze; sicché, sul piano legislativo, l’attuazione di tali principi esige il necessario concorso della legislazione regionale con quella statale. Nondimeno, il compito di determinare gli elementi identificativi di una minoranza da tutelare non può che essere affidato alle cure del legislatore statale, in ragione della loro necessaria uniformità per l’intero territorio nazionale. Inoltre, il legislatore statale si trova nella posizione più favorevole a garantire le differenze proprio in quanto capace di garantire le comunanze e risulta, perciò, in grado di rendere compatibili pluralismo e uniformità (sentenza n. 170 del 2010), anche in attuazione del principio di unità e indivisibilità della Repubblica di cui all’art. 5 Cost.».

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