C'è un patto segreto tra M5s e Lega nei comuni

In alcune città i grillini hanno preferito non presentare propri candidati per non far disperdere i voti dei propri militanti.

di Carlo Valentini Twitter: @cavalent www.italiaoggi.it

Che sicuramente non avrebbero votato per il Pd, e avrebbero così fatto automaticamente vincere i candidati del Carroccio

Non è neppure tanto segreto il patto tra M5s e Lega in alcune città per le elezioni amministrative. Se Davide Casaleggio non ha concesso l'uso del simbolo in talune circostanze, quando i due schieramenti del centrosinistra e del centrodestra si trovavano nei sondaggi in equilibrio, una ragione ci sarà pure. Anche perché non ha spiegato nemmeno ai militanti il motivo del diniego. E proprio loro, i grillini doc e fondatori del movimento nelle loro città, sono stati i primi a fare due più due, ovvero la scelta dei capi pentastellati (e leghisti) è stata quella di fare scendere, qui e là, l'alleanza di governo giù per li rami in modo da favorire in alcune città il M5s e in altre la Lega.

Chi ha guadagnato dall'accordo è stato finora Matteo Salvini, che del resto è già passato all'incasso pure col governo, dove i 5stelle appaiono comprimari. Del resto il leader leghista sta facendo la sua parte: ha mandato gli emissari laddove la gara al ballottaggio è tra il Pd e i 5stelle per spronare i reggitori locali del Carroccio a darsi da fare in favore degli alleati governativi.

L'esempio eclatante di questo patto di ferro M5s-Lega è Vicenza, dove il centrodestra era impegnato a strappare il Comune al centrosinistra (al potere da dieci anni) e nei sondaggi il candidato, fortemente voluto da Salvini, aveva un piccolo vantaggio. Una lista 5stelle avrebbe tolto voti (anche) al centrodestra e quindi rimesso in gioco la vittoria annunciata.

Può fare uno sgarbo del genere un alleato di governo? No. Ecco allora la decisione di non presentarsi alle elezioni, col sotterraneo suggerimento di votare contro il Pd. E i militanti grillini duri-e-puri si sono ritrovati cornuti e mazziati. Tanto che uno di loro, Daniele Ferrarin, che per cinque anni è stato il rappresentante dei 5stelle in consiglio comunale, guidando epiche battaglie per la trasparenza, ha sbattuto la porta, indignato: «La vicenda della mancata certificazione da parte di un vertice sconosciuto, o conosciuto anche troppo, e quindi della mancata presentazione della lista a Vicenza non può non avere delle conseguenze da parte mia. Il grave danno arrecato alla città (e non ai singoli) è sotto gli occhi di tutti. Si tratta di una scelta priva di una qualsiasi giustificazione e che mette in discussione l'equilibrio della democrazia. Beppe Grillo ha sempre definito il M5Ss come un treno in corsa con la possibilità di salire o scendere. In questo momento mi vedo costretto a scendere, auguro al treno di proseguire la sua corsa ma sui giusti binari».

Un altro grillino pentito, Francesco Di Bartolo, sbotta: «Cosa dire di quegli attivisti del M5s che, poiché non c'era la lista, hanno dichiarato la libertà di voto e sotto sotto hanno lavorato per Rucco? Ipocriti».

Francesco Rucco è il candidato di centrodestra che ha vinto al primo turno per un pugno di voti: 50,6%. La decisione di Casaleggio di non presentare il simbolo è stata determinante, secondo l'Istituto di ricerche politiche Carlo Cattaneo, per portarlo alla vittoria evitandogli il ballottaggio.

Per il Cattaneo la metà degli elettori pro-M5s si è astenuto e l' altra metà ha appoggiato il centrodestra. Quindi missione compiuta e forse per questo i 5stelle hanno ottenuto l'altroieri qualche sottosegretario in più. Di certo hanno l'appoggio della Lega nel ballottaggio del 24 giugno a Imola, dove debbono tentare di sconfiggere la candidata piddina Carmen Cappello. Lei ha preso il 42%, la candidata pentastellata, Manuela Sangiorgi, il 29,2%. Un distacco incolmabile? No, se Salvini riuscirà a convincere il 23,1% degli elettori che al primo turno hanno votato per il suo candidato a spostarsi sulla Sangiorgi. Perché non dovrebbero farlo in considerazione dell'alleanza romana?

Dice il leader 5stelle dell'Emilia-Romagna e consigliere comunale a Bologna, Massimo Bugani: «Fra il nazionale e il locale ci sono mille equilibri e situazioni diverse però avere a Imola una Lega che sicuramente è predisposta a votare M5s per mandare a casa la dittatura Pd dopo 72 anni, è importante».

Ma anche qui c'è chi non ci sta e saluta. Si tratta di Dora Palumbo, consigliere comunale a Bologna e quindi collega di Bugani, anzi ex-collega poiché ora si è trasferita al gruppo misto. Dice: «L'alleanza con la Lega è un'alleanza con la casta, quella casta che per tanti anni avevamo combattuto, un'alleanza con una forza politica che non ha a cuore gli ultimi, ma cerca il consenso seminando odio e paura per poi innalzarsi ad antidoto per accaparrarsi voti. Abbiamo portato al governo un partito che è stato scelto solo dal 17% della popolazione, un partito che aveva governato con il celebre condannato. Abbiamo accettato un contratto svendendo gran parte dei nostri obiettivi pur di andare al governo. Per me è un tradimento, mi sono avvicinata al M5s nel 2010, ho fatto l'attivista, banchetti ogni fine settimana. A questo punto, vedere che il movimento cambia i principi fondamentali su cui è nato, lo vedo come un tradimento. Con la Lega proprio no, né a Roma né in periferia».

 

Infine Siena, città dove il dominio della sinistra è franato insieme al Montepaschi. Il centrodestra a guida leghista intravvedeva la vittoria ma temeva la lista che i 5stelle avevano preparato e in cui vi era un ex leghista, in grado di sottrarre voti proprio al centrodestra. L'Sos è stato recepito, la lista pentastellata non è stata certificata e così il candidato del centrodestra, Luigi De Mossi, è riuscito quasi a pareggiare i conti (24,2%) col civico di centrosinistra, sindaco uscente, Bruno Valentini (27,4%). E per il ballottaggio grillini e leghisti suonano, insieme, la carica.

Tre città-simbolo di un patto che si fa, si sussurra ma non si dice.

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