Il leader dell'M5s se ne fa un baffo dei 30 mila in piazza

Piattaforma digitale nel nome Rousseau, con le poche migliaia, raramente decine di migliaia. Ridateci al più presto le urne elettorali

di Sergio Luciano 15.11.2018 www.italiaoggi.it

Quella piazza Castello affollata di torinesi orfani della Tav faceva un bel vedere, non c'è che dire. E avrebbe dovuto suonare come una brusca sveglia (ma non è accaduto) alle orecchie di Luigi Di Maio, il vicepremier pentastellato che presidia la trincea tutta grillina del «no» alle infrastrutture. O meglio: si sa che nel fatidico «contratto di governo» una linea-guida è stata scritta, sul tema, la revisione, cioè, del rapporto costi-benefici di ciascuna opera avviata di cui si possa ancora decidere se proseguirla o abbandonarla. Ma i tempi e i criteri di questa delicatissima valutazione, più il 4 marzo (data delle elezioni politiche che hanno insediato questo governo) si allontana, più sembrano vaghi e inaffidabili.

Quella piazza, dunque, ha avuto il sapore di un forte appello al buon senso e alla concretezza. Con un grosso «ma», però: la mancanza di bandiere politiche, di vessilli di partito. Un dato di fatto inedito, sconcertante, ancorché rivendicato dagli organizzatori come un successo. A ben guardare, è stato un altro tassello in quell'inquietante mosaico di democrazia diretta (anzi, immediata, proprio nel senso di non mediata) che si sta componendo sotto gli occhi degli italiani, più che per volere degli italiani.

Cosa vuol dire? Vuol dire che trentamila in piazza, di sabato e con la pioggia, sono tantissimi, a protestare contro l'addio alla Tav. Ma, volendo, quanto ci metterebbero i Cinquestelle a mobilitarne più che altrettanti per la ragione opposta? Ma quanti sarebbero, in realtà, gli italiani virtualmente coinvolti da quella decisione? Ben di più: eppure, silenziosi. Del resto, analizzando il fallimento del referendum sull'Atac a Roma (che non ha raggiunto il quorum) non siamo forse di fronte ad un ulteriore esempio di democrazia diretta fallimentare? Già, perché la «maggioranza silenziosa» dei romani che non ha votato, non è certo contenta dell'attuale gestione Atac. Come si potrebbe esserlo?

E dunque questo genere di manifestazioni fisiche o digitali, riuscite (a Torino) o fallite (a Roma) che siano, non fanno che confermare come al vecchio modello della democrazia intermediata dai partiti non sia stato possibile sostituire uno davvero di base, davvero popolare, davvero immediato. E il rischio di una dittatura della minoranza si fa ogni giorno più concreto e inquietante. Non c'è nessuna piattaforma digitale che, per quanto evochi nel nome Rousseau o Voltaire, con le poche migliaia, raramente decine di migliaia, di voti raccolti via web, possa davvero ratificare che un Di Maio è adatto a guidare il governo o che un tunnel vada fatto o abbandonato. Ridateci al più presto le urne elettorali.

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