ChiantiBanca e gli interessi a smontare la riforma delle Bcc

L'istituto di credito toscano in pressing sul governo. Per spingere l'emendamento leghista che elimina l'obbligo di aderire a uno dei tre gruppi unici. E avere così più autonomia e meno controlli della Bce.

SAMUELE CAFASSO, 15.11.2018 www.lettera43.it

Ma chi vuole davvero la riforma delle Bcc?

Assi insospettabili si delineano sulla riforma del credito cooperativo: la bomba sganciata dalla Lega in commissione Finanze del Senato che di fatto, se approvata, eliminerebbe l'obbligo per i singoli istituti di aderire a uno dei tre gruppi unici - Cassa centrale banca (Ccb), Iccrea o Cassa Raiffesen - ha molti sostenitori nella rossa (una volta, almeno) Toscana. Qui, in nome di un bancario "padroni a casa nostra", è partito un corteggiamento della maggioranza giallo-verde che punta alla demolizione della riforma approvata dal precedente governo e che, un po' a sorpresa, adesso sembra dare i suoi frutti.

LOGICHE NON SEMPRE TRASPARENTI DIETRO LE BCC

Front runner dell'operazione: un pezzo del maggior istituto di credito cooperativo della regione, ChiantiBanca. Per ricostruire questa storia bisogna tornare però al 13 settembre 2018 quando all'hotel Obihall di Firenze si è svolto il convegno "La scomparsa del credito cooperativo", organizzata da Articolo 2-Associazione per la cooperazione di credito. Articolo 2 è un'associazione che dice di ispirarsi ai «prinicipi dell'insegnamento sociale cristiano» e che ha come obiettivo la moratoria sulla riforma delle Bcc, criticata soprattutto per la parte che, prevedendo l'adesione ai gruppi unici, limiterebbe l'autonomia dei singoli istituti. Secondo i critici, in realtà quello che si vuole evitare è che la Banca centrale europea (Bce) metta il naso, attraverso i gruppi, nei conti delle Bcc, molte volte virtuose centrali a servizio del territorio ma in altri casi erogatori di credito secondo logiche non sempre trasparenti e ininfluenti da manovre politiche.

IL PRESSING DI CHIANTIBANCA SU CASTELLI E BAGNAI

Per il convegno del 13 settembre, hanno raccontato le cronache locali, Articolo 2 era riuscita ad agganciare il viceministro Laura Castelli e Alberto Bagnai, presidente della commissione Finanze del Senato e chiaro ispiratore dell'emendamento che sta agitando le acque delle Bcc. A dire il vero in quel caso Bagnai aveva frenato molto, spiegando che oramai era troppo tardi per tornare indietro rispetto al disegno generale della riforma e dati i gruppi già costituiti. Cosa sia cambiato da allora, non è dato saperlo ma è certo che, se approvato nella sua versione originaria, l'emendamento leghista cancellerebbe di fatto uno dei pilastri della riforma.

Infatti le banche che hanno un patrimonio netto superiore ai 100 milioni di euro e quelle sotto a quel livello ma con coefficienti patrimoniali adeguati (Common Equity Tier 1 ratio inferiore a otto punti percentuali), non sarebbero obbligate ad aderire a un gruppo, ma potrebbero tutelarsi attraverso un sistema di garanzie Ips, cioè un fondo di garanzia comune, il cosiddetto modello tedesco. Una via che piace agli istituti più grandi in grado di stare in piedi da soli e a chi chiede più autonomia, che però vuol dire anche meno controlli.

ChiantiBanca fu oggetto nel 2017 di una censura di Bankitalia. Il bilancio 2016 fu chiuso con un buco di 90,4 milioni, si aprì un'indagine per ostacolo alla vigilanza

A questo punto, bisogna dire che tra i principali sostenitori di Articolo 2 c'è mezzo stato maggiore di ChiantiBanca, la più grande banca cooperativa della Toscana con 27 mila soci e la bellezza di 100 mila clienti. Il presidente dell'associazione è Antonio Fusi, segretario generale di ChiantiMutua, il segretario è Carlo Bernini, direttore generale della fondazione ChiantiBanca. E poi ne fa parte anche un membro del cda di ChiantiBanca, Stefano Sivieri. ChiantiBanca fu oggetto nel 2017 di una severa censura da parte di Bankitalia che, durante un'ispezione, rilevò una «insufficiente capacità del cda in carica fino all’aprile di sorvegliare la conduzione aziendale» e la «inefficace azione delle funzioni di controllo». Il bilancio 2016 fu chiuso con un buco di 90,4 milioni per rettifiche su crediti e svalutazioni, si aprì un'indagine per ostacolo alla vigilanza.

L'ILLUSIONE DI UNA BANKITALIA PIÙ MORBIDA DELLA BCE

Durante l'assemblea tenuta a maggio, tuttavia, la lista capitanata da Lorenzo Bini Smaghi e che per Bankitalia avrebbe dovuto risanare l'istituto, fu sconfitta. ChiantiBanca, che in un primo momento votò l'adesione a Cassa centrale, cambiò poi cavallo in corsa, per aderire a Icrrea. Questa però è in parte un'altra storia. Rimangono le parole di Bini Smaghi che, in un'intervista al Gazzettino del Chianti mesi dopo essere stato messo alla porta, commentò così la voglia di alcuni soci dell'istituto di cancellare la riforma: «Forse alcuni sperano che, senza la riforma, la vigilanza della Banca d’Italia sarebbe più “morbida” di quella della Bce. Ma mi sembra che l’ispezione del 2017, e le multe che ne sono scaturite, dimostrino il contrario. Forse la Banca d’Italia avrebbe dovuto essere ancor più severa, per chiarire bene di che pasta è fatta, ed eliminare questo tipo di illusione».

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