Servono grandi infrastrutture per smistare le merci arrivate nei porti di Genova a Trieste

Gli abbagli di seta del governo. È stata autolesionista l'assenza polemica di Salvini

di Domenico Cacopardo 27.3.2019 www.italiaoggi

La gita a Parigi conclude il tour europeo di Xi Jinping, presidente cinese, uno dei due uomini più potenti del pianeta con l'ambizione di diventarne il n. 1 in tempi ragionevoli. L'evento transalpino ridimensiona il trionfalismo di Conti&Di Maio e riconduce in ambiti ragionevoli gli accordi italiani e le future prospettive. Gran parte delle polemiche suscitate dall'ospite cinese hanno già perso consistenza, conferendo ai politici italiani l'ennesimo attributo di inguaribile provincialismo. Abbiamo ascoltato accuse di rottura della solidarietà europea e italo-americana. La prima è caduta come una mela marcia, poche ore dopo lo sbarco di Xi Jinping in Costa Azzurra. La seconda, che ancora resiste, sconta la non conoscenza dei termini della controversia cino-americana: si tratta di una querelle tutta commerciale relativa alle ragioni di scambio fra i due paesi e al loro squilibrio a favore della potente nazione asiatica. La solidarietà all'alleato non c'entra nulla, giacché se e quando i due paesi troveranno un'intesa, non ne trarremmo nessun beneficio. Anzi è di tutta evidenza e banale immaginare che, come accadrà, un accordo cino-americano sarà dannoso prima di tutto per gli europei che verranno posposti nelle graduatorie di interesse economico-finanziario sia dalla Cina che dagli Stati Uniti.

Per questa semplice ragione, le lamentele di Trump e di Pompeo vanno respinte, come espressione di mera volontà egemonica sull'Italia. Lo scrive uno che è convintamente filo-atlantico e filo-americano col limite, però, che l'Italia non è «il più fedele amico dell'uomo», ma una nazione che ha il dovere di tutelare i propri interessi, senza se e senza ma. Nel grande gioco mondiale non c'eravamo prima dell'arrivo dell'immensa delegazione cinese, né ci siamo entrati dopo ad accordi conclusi. Anche se, come sappiamo, non ci sono accordi commerciali che non abbiano implicazioni politiche per entrambi i contraenti, soprattutto quando si è in condizione di così importante squilibrio come noi e i cinesi.

La verità che noi avremmo da lucrare benefici soprattutto economici, in chiave di recupero di Pil, mentre i cinesi hanno già ottenuto il risultato politico di avere significativamente allargato la propria testa di ponte nel continente europeo. Gli aranci freschi a Pechino (slogan martellato in tv) sono poca cosa per la popolazione cinese, le Ferrari e le Maserati, pochissima cosa che non compenserà mai i danni storici prodotti dalle decisioni governative (in finanziaria) all'industria automobilistica e componentistica nazionale e a un'occupazione che non è più di massa, ma che ha acquistato i connotati della qualità tecnologica.

L'intesa, tuttavia, ha bisogno di una seria implementazione nazionale, rispetto alla quale abbiamo il diritto, anzi il dovere di essere scettici. Si pone per primo un problema di coerenze. Come può, il governo italiano assicurarsi e assicurare lo sviluppo in partnership di Genova e di Trieste, porte d'ingresso, rispettivamente, nelle grandi pianure dell'Europa centro-occidentale e centro-orientale se non sblocca i cappi infrastrutturali che soffocano entrambi i porti? Soprattutto Genova, per il quale l'incremento delle capacità ricettive non comporta soltanto investimenti portuali, ma soprattutto investimenti nei trasporti su rotaia e su gomma. Cioè l'inserimento nell'asse ferroviario mediterraneo (segnatamente con la Torino-Lione), lo sblocco del transito Nord-Sud ed Est-Ovest (Terzo valico e Gronda), tutte iniziative e opere fortemente contrastate dalla forza di governo che s'è intestata proprio l'intesa con la Cina. In secondo luogo, saremo capace di gestire efficacemente le nuove relazioni?

Di questo è lecito dubitare, vista la scarsa qualità del personale di governo: è in queste contingenze che gente capace ed esperta servirebbe per massimizzare i benefici di un accordo che non dovrebbe restare sulla carta. E per questa precisa ragione (oltre che per il messaggio subliminale trasmesso ai suoi sostenitori) ha fatto male Salvini a disertare i tavoli degli incontri. Fra l'altro, il vertice italo-cinese era una buona occasione per discutere la questione delle questioni, quella che sta più a cuore di Salvini: l'Africa e l'immigrazione.

La Cina è la potenza coloniale più forte e più presente in Africa. Potrebbe darci opportunità per le nostre imprese e collaborazioni politiche per la stabilizzazione. A quanto si capisce, sembra che a nessuno sia venuto in mente di mettere il problema sul tappeto. A dimostrazione dell'insufficienza politica, tecnica e manageriale di chi era incaricato di discutere e preparare i dossier.

Alla buon'ora: le poche settimane che mancano vedranno passare tutto in secondo piano, tranne il posizionamento dei concorrenti governativi. Una cosa simile alla conquista della pole position in un gran premio. Benzina i numerosi dossier in ballo, a cominciare da quello sull'autonomia allargata. Le ragioni di polemica saranno, in definitiva, esaltate e, in vista del traguardo, potranno causare guasti irreparabili. Ma gli italiani, nonostante tutto e nonostante un governo incapace di cogliere lo spirito dei nostri tempi, sono forti e non soccomberanno.

Domenico Cacopardo www.cacopardo.it

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