Non c'è spazio per leggi di spesa

Anche se venissero approvate sarebbero bloccate dalla Ue

di Domenico Cacopardo 10.5.2019 www.italiaoggi.it

La rivalsa che si profila (e che per ora quieterebbe la Lega) consiste nell'immediata introduzione della flat tax. E, naturalmente, per concedere qualcosa (perché oramai si tratta di questo: i 5 Stelle vittoriosi hanno in mano il boccino e possono concedere o non concedere, visto che i loro partner non hanno la forza o il coraggio di imporre le proprie esigenze facendo leva sui numeri – che dicono che entrambi i partner di governo sono essenziali per la prosecuzione dell'alleanza -) per concedere qualcosa, dicevo, i 5 Stelle vogliono qualcos'altro in cambio: oggi si parla di salario minimo. Questo tentativo di composizione si realizzerebbe a scapito della finanza pubblica (la flat tax - Lega) e a scapito della finanza privata, cioè dei datori di lavoro (salario minimo - 5 Stelle).

Andiamo a vedere. Non ci poniamo questioni ideologiche o ideali (il precetto costituzionale sulla progressività della tassazione). Ci vogliamo dedicare al merito. Sappiamo tutti che le finanze dello Stato sono da tempo in condizioni miserabili. Il servizio del debito (interessi) determina un disavanzo complessivo importante e contribuisce ad aumentare, mese dopo mese, l'entità del debito dello Stato italiano. Da questo punto di vista, una nazione non si comporta in modo sostanzialmente diverso da una famiglia. Se io sono talmente indebitato che per pagare gli interessi dei miei debiti debbo farne altri (debiti) se non voglio andare a sbattere e mandare in malora tutto, debbo darmi una regolata, tagliando le mie spese. Dalle voluttuarie sino a quelle necessarie, nel senso che debbo incidere sul mio stile di vita.

Dopo la catastrofe del 2008, i paesi europei più esposti ebbero il coraggio di intervenire drasticamente sulle uscite, a partire dagli stipendi dei dipendenti pubblici, inesorabilmente tagliati. Con questa decisione (anche), Spagna, Portogallo, Irlanda riuscirono a mettere la finanza pubblica sotto controllo, a ridimensionare la voragine e, infine, a riprendersi. La Grecia è un capitolo a parte, di cui dimentichiamo sempre di mettere in evidenza il fatto: per secondare il popolo, i conti della finanza pubblica erano stati truccati, talché, giunti al dunque, l'Unione europea dovette intervenire in modo drastico e drammatico.

L'Italia no. Sia con Silvio Berlusconi (crisi del 2011) che col centro-sinistra nessuno incise seriamente sulle uscite dello Stato (spese correnti e quindi, prima di tutto, retribuzioni nel pubblico impiego) e quindi non si mise in moto alcun vero processo di rientro del debito pubblico. Anche il duro Mario Monti, in fin dei conti si limitò ad alcune operazioni di vero e proprio salvataggio, sprecando l'occasione per affrontare i problemi che solo l'emergenza avrebbe permesso di affrontare. Certo, è vero che, nella primavera del 2018, il paese registrava il quinto o sesto trimestre di crescita e che un miglioramento dei conti era in itinere. Ma è altrettanto vero che eravamo ancora sul filo del rasoio e che il governo Conte, a regole di finanza pubblica, non aveva alcuna possibilità di allargare i cordoni della borsa come colpevolmente ha fatto.

Perciò, introdurre la flat tax senza tagliare drasticamente le uscite correnti dello Stato, in modo da mantenere, anzi migliorare l'equilibrio tra entrate e uscite è pura follia demagogica. Alla quale, giustamente, l'Europa si opporrà con tutte le sue forze, visto che un default italiano si riverberà non tanto sull'Unione quanto sulle altre Nazioni che la compongono.

Veniamo al salario minimo. Parliamone come di una cosa seria, non come una bassa trovata propagandistica come è. Il mercato del lavoro ha due condizioni limite: eccesso di domanda o eccesso di offerta. L'eccesso di domanda, tipico delle fasi espansive nelle quali si va verso la piena occupazione (utopia ai nostri giorni), comporta che i lavoratori abbiano in mano un pesante potere contrattuale. Con l'eccesso di offerta, ci sono invece molti più lavoratori disponibili di quanti ne occorrano per le attività produttive. La ragione vorrebbe che per incrementare la richiesta di lavoratori un governo desse il via a investimenti ad alto tasso di mano d'opera, cioè – è inutile girarci intorno - opere pubbliche. Il che non è, anzi, questo governo è tendenzialmente un governo di blocco, dato che lo strombazzato rilancio di questo genere di investimenti, riguarda solo opere già finanziate, senza che sia messo sul tappeto un euro in più di quanto stanziato dai governi Renzi e Gentiloni. E per il resto niet. Solo niet, dalla Torino-Lione alla Livorno-Civitavecchia alle altre infrastrutture di modernità.

Ma quando c'è un eccesso di offerta (di lavoratori) occorrerebbe puntare sulla flessibità: un lavoro poco retribuito è meglio di nessun lavoro. E un lavoro poco retribuito in fin dei conti dà il proprio modesto contributo alla contabilità nazionale. Rispetto a questo scenario il governo Conte - 5 Stelle s'è inventato il reddito di cittadinanza che esclude, in sostanza, una quota importante di non occupati dal mercato dei richiedenti lavoro. Se, in questa situazione, un piccolo, minuscolo Stalin intendesse – come proclama il giovane Luigi Di Maio - introdurre un salario minimo (ed è evidente che un salario minimo, per avere qualsiasi significato, deve definire una soglia che escluderebbe diverse decine di migliaia di occupazioni in corso. Altrimenti non avrebbe senso), egli otterrebbe l'effetto di diminuire ulteriormente la domanda di lavoratori, spingendo, nelle zone parassitarie del paese, verso l'incremento del lavoro nero e del lavoro criminale.

Le sirene del governo quindi sono ben diverse e lontane dalle sirene che nello Stretto di Messina ammaliarono Ulisse e i suoi. Sono streghe inguardabili e ripugnanti che porterebbero immediatamente a fondo la già traballante navicella che reca sulla prua l'onusto nome di Italia.

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