Lettera di un deputato del Pd sull’orrore del processo senza fine

Tremila euro stanziati dal comune di Siena servono solo per lo spettacolo di Fusaro e non per la presentazione del libro di Antonio Socci.

 09.1.2020 ilfoglio.t

Al direttore - Serraj: ma quindi capo politico esattamente che vuol dire?

Giuseppe De Filippi

Al direttore - Il quadro presentato ieri dal Foglio a proposito degli effetti del “grillismo bancario” è sconfortante anche se agevolmente prevedibile. La nomina del presidente della commissione parlamentare di inchiesta sulle Banche, istituita circa dieci mesi fa, verrebbe, insomma, decisa non tanto sulla base dell’idoneità, della credibilità, della competenza, del prestigio e della “terzietà” del candidato, ma per l’incarico che lascia libero o al quale non aspirerà – e lascerà libero per altri – se sarà nominato alla testa di quella che avete definito l’Inquisizione bancaria. Ma, così stando le cose, non è soltanto il “grillismo” a essere chiamato in ballo. Vi sono anche gli altri partiti, innanzitutto il Pd, che stanno sullo stesso piano e partecipano a questa operazione per occupare la presidenza lasciata libera. Addirittura si è concordato ab origine che la presidenza dell’inchiesta spetti ai 5 stelle, mentre in passato, già nella precedente commissione di inchiesta, era stato nominato Pier Ferdinando Casini, non certo appartenente al partito di maggioranza relativa nella coalizione dell’allora governo. Considerato il ritardo con cui inizierà l’attività della commissione, nonché la mancanza tra i candidati al vertice di personalità che abbiano i requisiti sopra indicati e che siano “super partes” – condizione maggiormente necessaria perché l’organo ha i poteri e i limiti dell’autorità giudiziaria e non dovrebbe essere presieduto da persone che abbiano già “pre-giudicato” sulla materia con ripetute dichiarazioni e atti parlamentari – si può dire che l’inchiesta partirà già molto male. La speranza è che si abbia una salutare resipiscenza e ci si orienti verso personalità che rappresentino una garanzia per tutti e diano un impulso ai lavori della commissione nel rigoroso rispetto delle finalità istituzionali. Con i più cordiali saluti.

Angelo De Mattia

Speranza vana, temo. Le commissioni di inchiesta, di solito, sono una spaventosa perdita di tempo. Nel caso delle banche, invece, sono persino qualcosa di peggio: sono una mazzata demagogica sulla credibilità e sull’affidabilità di un paese.

Al direttore - L’inizio del nuovo anno, e la ripresa dei lavori parlamentari, si presenta con rilevanti e gravi questioni internazionali, e anche con qualche non banale problema politico interno che si trascina dall’anno passato. Tra questi, certamente il tema della prescrizione, che si è discusso lungamente in maggioranza nei mesi scorsi, ha avuto ampia eco nel dibattito politico e mediatico, ma ci ritroviamo intatto e inalterato oggi all’avvio dell’anno nuovo. E questo dipende da due circostanze concomitanti: da un lato la conclamata indisponibilità del ministro a consentire il rinvio dell’entrata in vigore della riforma contestata, che avrebbe consentito di valutarla alla luce di una complessiva riforma della giustizia, dall’altro lato la grande responsabilità esercitata dal partito democratico, che nonostante il dissenso esplicito e manifesto su una riforma non condivisa, non ha mai forzato la mano, auspicando il raggiungimento di un accordo di maggioranza che consentisse di riportare armonia sul punto. Così siamo arrivati ad oggi, la legge è entrata in vigore come voleva il ministro, ma la questione è ancora tutta sul tappeto. Stasera ci sarà un ulteriore incontro di maggioranza per trovare una soluzione, o quanto meno per individuare una strada percorribile al fine di raggiungere un accordo. Oso credere e sperare che ci sarà un significativo passo in avanti, una concreta apertura da parte del ministro per una soluzione soddisfacente per tutti. Sono convinto ce ne siano tutte le condizioni, sia tecniche che politiche: è possibile lavorare in modo efficace per combinare la riforma Bonafede con adeguate contromisure idonee a scongiurare i rischi di allungamento dei processi paventato da molti, e ritengo che tutti i partiti della maggioranza siano sufficientemente flessibili da essere in grado di accettare un punto di caduta comune. Dirò di più, sono altresì persuaso che un accordo di maggioranza sulla prescrizione sarebbe ancora più apprezzato alla luce della più complessiva riforma della giustizia in gestazione, che avrebbe a quel punto un percorso spianato dinanzi a sé. Insomma, non vedo una sola ragione tecnica o politica che sia di ostacolo a mettersi alle spalle le fibrillazioni di maggioranza registrate sul punto negli ultimi mesi. Con un piccolo particolare aggiuntivo che vale la pena di sottolineare in grassetto. Che il tempo è oramai scaduto. La settimana prossima arriveranno al voto in commissione giustizia le proposte di legge sulla riforma della prescrizione, tra cui quella del partito democratico a mia prima firma. Nessuno potrà stupirsi o lamentarsi se, in assenza di un segnale concreto di apertura alla discussione da parte del ministro, il partito democratico voterà in linea con le proprie convinzioni. Diciamo che il nodo è arrivato al pettine.

Alfredo Bazoli, deputato del Pd

Al direttore - L’ordinanza del tribunale del Riesame che ha accolto il ricorso dell’amministrazione straordinaria dell’ex Ilva di Taranto e annullato di conseguenza il provvedimento che ordinava lo spegnimento dell’Afo2 (praticamente condannando lo stabilimento alla chiusura) non è importante soltanto sul piano politico e sindacale, in quanto concede ulteriori quattordici mesi per realizzare il cronoprogramma per la sicurezza e il risanamento, dando quindi la possibilità al governo e alle parti sociali di ritessere un accordo che garantisca la continuità produttiva e l’occupazione. L’aspetto più significativo riguarda la demolizione di una lunga serie di provvedimenti giudiziari ostinatamente “talebani’’ che per più di sette anni hanno perseguitato lo stabilimento nonché l’argomentazione giuridica, alla base dell’ordinanza del Riesame, che, secondo quanto disposto dalla Consulta, indica dei criteri per la ricerca di un equilibrio tra i fondamentali diritti alla salute e al lavoro. In sostanza, viene ritenuta non ammissibile l’espansione illimitata di un diritto a scapito di altre situazioni altrettanto meritevoli di tutela. Il criterio deve essere “un bilanciamento fondato sulla proporzionalità e la ragionevolezza’’: un criterio che non sembra essere stato seguito, a Taranto, nell’amministrare la giustizia sul caso ex Ilva.

Giuliano Cazzola

Al direttore - Mi sembra assai singolare l’ipotesi contenuta nell’intervista resa da Franco Frattini ieri sulla stampa secondo la quale “Di Maio vuole dall’Unione europea la completa revisione delle sanzioni a Putin”. In primo luogo non si capisce se si tratta di un suggerimento di Frattini o di un proposito di Di Maio; nell’uno e nell’altro caso ci sembra francamente una proposta assai pericolosa. In un momento così delicato per il quadro internazionale, con uno scontro frontale fra l’Iran e gli Stati Uniti, noi ci distaccheremmo dagli americani lanciando un segnale inequivocabile e ci avvicineremmo a Putin che non è al di sopra delle parti, ma nel quadro del medio oriente ha un’alleanza preferenziale con l’Iran e in Libia in modo assai marcato si è collocato da una parte assai precisa, cioè da quella del gen. Haftar. Una mossa del genere verrebbe fatta dall’Italia che fino a ieri è stata il principale sponsor di al Serraj, per di più sull’argomento “sanzioni” prenderemmo le distanze non solo dagli Stati Uniti ma anche dall’Unione europea, da Merkel e da Macron (e infatti Frattini all’intervistatore che gli obietta “anche Merkel e Macron saranno contrari a mettere in discussione le sanzioni a Mosca” risponde “può darsi, ma allora si saprebbe da che parte siamo noi e da che parte sono loro”). Questa mossa sarebbe interpretata da molti come il solito gioco di valzer degli italiani e non ci darebbe né prestigio né credibilità per svolgere il ruolo di mediatori. Non posso sottacere che le mie perplessità aumentano se queste suggestioni vengono avanzate non da una personalità di rilievo che liberamente esprime le sue riflessioni, ma da chi dovrebbe diventare l’inviato speciale dell’Italia in Libia. Come minimo ciò richiederebbe una esplicita discussione parlamentare su un cambio di linea così rilevante. D’altra parte, la politica estera su argomenti così seri e vitali non può essere messa in campo per una mera operazione tattica di politica interna.

Fabrizio Cicchitto

Al direttore - Con riferimento al mio articolo di ieri, “Le turbocazzòle di Diego Fusaro”, specifico che i tremila euro stanziati dal comune di Siena servono solo per lo spettacolo di Fusaro e non per la presentazione del libro di Antonio Socci.

David Allegranti

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